di Salvatore Sodano C’era un ragazzo che come me… amava i Beatles il Rock&Roll… e il tennis? Forse, ma scavando nel fotocatalogo dei vip, a disposizione nella banca dati, di Morandi tennista non c’è traccia. Allora? Cosa c’entra Morandi con il tennis, a parte le circostanze che spesso lo hanno visto esibirsi negli stadi del […]
Una ventina d’anni fa, quando i giocatori italiani faticavano ad arrivare al giovedì della prima settimana di uno slam e ad arrivare in top30, la mamma di un giocatore italiano scrisse a Rino Tommasi lamentando l’eccessiva severità che il principe dei commentatori italiani riversava sui ragazzi nati dalle Alpi a Lampedusa. La risposta di Tommasi non fu accondiscendente e suonava più o meno come “se fossi severo non mi limiterei a dire che non sono all’altezza, e uno dei motivi è che sono circondati da mamme come lei”. La “polemica” (ogni critica in Italia è rapidamente derubricata come “polemica) venne addebitata alla poca simpatia che c’era tra la stampa e la federazione, e ci si rassegnò ad attendere il messia, che per mera sfortuna, ci si difendeva, nacque qualche chilometro a nord di Como. L’acqua è scorsa sotto i ponti, adesso il tennis maschile italiano è quanto meno competitivo e il ruolo della stampa è cambiato insieme alla sparizione di una generazione di giornalisti che aveva un’autorevolezza oggi impensabile. Quello che è rimasto sorprendentemente lo stesso è buona parte del personale della federazione, che allora lamentava di essere sfortunata e ora va raccontando di quanto è capace. La generazione di Berrettini, Sinner e Musetti – con alle spalle ottimi giocatori come Sonego e speranze come Arnaldi, Cobolli, Nardi e Zeppieri – è servita a rintuzzare qualsiasi dubbio sulle sorti progressive del subcomandante presidente e il gruppo che dall’inizio del millennio ha saldamente in mano il tennis italiano. E siccome ad albero caduto ecc ecc, le voci perplesse sono state emarginate, nei casi estremi allontanate fisicamente dai luoghi di lavoro, cioè i campi da tennis. Spazio soltanto ai cantori dei nuovi dominatori e tra loro dell’eletto, come viene chiamato senza sprezzo del ridicolo Jannik Sinner, ieri impantanato nella sconfitta peggiore di questo suo inizio di carriera. Sinner contro Altmeier ha mostrato non tanto di essere ancora lontano, molto lontano, dal minimo neccessario per vincere uno slam ma paradossalmente ha mostrato quanto non sia colpa sua. Costretto da un ottimo giocatore con un piano tattico preciso e in giornata di grazia a cercare un modo per vincere una partita ampiamente alla propria portata Sinner si è trovato come smarrito. Ad ogni rovescio del tedesco sembrava prevalesse lo stupore per l’offesa, ad ogni errore la stizza. La costante nelle sconfitte di Sinner è l’incredulità con cui Jannik sembra accompagnare l’andamento del match, un chiedersi “ma perché non si è ancora tolto di mezzo? Com’è che siamo ancora in campo?”. Sinner via via che la partita prosegue accentua la casualità delle proprie soluzioni, le palle corte giocate davvero in modo random, così come le discese a rete, senza che si capisca l’esatto motivo oltre ad un generico “usare delle variazioni” e senza che si renda conto che quelle variazioni devono accompagnare i suoi punti di forza, banalmente l’enorme potenza di dritto e rovescio da fondo, non certo sostituirli. Se Sinner e il suo gruppo pensano che potranno vincere tante partite grazie alle variazioni usate in questo modo andranno incontro a tante delusioni come quella di ieri, e dimenticano che Djokovic e Nadal non hanno vinto i loro slam con le variazioni ma affinando e rendendo inscalfibili i propri punti di forza, consapevoli che i punti deboli sarebbero certo potuto migliorare ma restavano punti deboli da utilizzare il meno possibile.
A questo si aggiunga la storica deficienza dei tennisti italiani di avere una preparazione fisica all’altezza del tennis contemporaneo. Sinner ha giocato 11 partite al quinto set ha vinto quelle contro giocatori decisamente inferiori, contro i quali non sarebbe mai dovuto arrivare fin lì, e ha perso quelle contro i giocatori forti. La novità di ieri è che ha perso contro uno che non è nemmeno tanto forte, non quanto Tsitsipas, Alcaraz o Djokovic, e nemmeno Khachanov o Shapovalov, che sono quelli contro cui aveva perso finora. Non una bella novità nemmeno questa. Se a tutto questo aggiungiamo che Sinner è molto forte con i “deboli” – quelli che stanno dietro di lui in classifica – così così con i medi – 25-31 il bilancio con i top20 – e debole con i forti – 13-25 con i top10 e 4-18 con i top5 – si comprende come sia necessario riconsiderare un po’ gli obiettivi.
Da queste parti del resto, chi ha avuto la pazienza di seguirci, lo avrà letto spesso: Sinner è un ottimo giocatore, che nel panorama del tennis postfab3 potrà spesso dire la sua, e che con circostanze favorevoli è in grado di portare a casa un grande risultato. Leggere, sentire “non è certo come Berdych” che è stato un giocatore fantastico fa male più che a noi a Sinner e a tutto i suoi sostenitori che finiscono con l’accogliere questi rovesci, che non sono certo finiti qui, ripetendo lo stanco mantra dell’insegnamento che deriva dalle sconfitte e che non si comprende bene quale sia visto la costanza della reiterazione; e dal “continuerò a lavorare perché sono giovane”. Per essere più chiari: una cosa sono Alcaraz e Rune un’altra Sinner. Incrociamo le dita e speriamo nei tabelloni favorevoli, anche se il Roland Garros manda a dire che non basterà certo quello.