Che sfida pensi sarà quella contro Marketa Vondrousova?
“La più difficile di tutte. Lei è in finale, come me, è stata straordinaria fin qui, è straordinario per entrambe. Lei sta avendo un record vittorie-sconfitte veramente di alto spessore in tutto il 2019, è molto costante, forse più a suo agio su questi campi in contrasto con le altre superfici. Ha tanta varietà nel suo gioco, ha l’abilità di muovere il punto e di muoversi a sua volta molto bene in campo. Io ho la chance di andare in campo e di fare il possibile per adattarmi ben sapendo che a volte potrei non essere in controllo del punto per quello che lei sarà in grado di fare. Sarà una grande finale per entrambe, qualcosa che abbiamo conquistato con tanta dedizione fin qui ed entrambe non vediamo l’ora di giocarla”.
Ashleigh Barty ha raccontato in queste parole tutto quello che noi potremmo dire della finale Slam tra le più sorprendenti di sempre, probabilmente, ma che racchiude qualcosa di speciale. Non siamo, come per lo US Open 2015, di fronte a due tenniste ormai in là con gli anni. Non siamo, come a Wimbledon 2013, di fronte a un allineamento di pianeti che hanno portato al torneo londinese più clamoroso che si ricordi nella storia recente. Siamo di fronte a due ragazze che assieme a malapena superano i 40 anni e che in questo 2019 si stanno superando in quanto a costanza. E in questo, aprendo una piccola parentesi, vorremmo anche cospargerci il capo di cenere perché nell’articolo di presentazione del torneo, due venerdì fa, dicevamo che Barty era la giocatrice tra le prime 8 che tutte volevano trovare per la sua difficoltà nell’adattarsi a questi terreni. Giustamente, due settimane dopo, eccola in finale.
Il suo percorso è stato relativamente tranquillo, nel senso che è saltata l’avversaria più pericolosa nel suo ottavo di tabellone (Serena Williams) e quella nel suo quarto (Naomi Osaka) ma lei ci ha messo del suo battendo chi aveva preso lo scalpo della 23-volte campionessa Slam e chi lo scorso anno qui raggiunse la semifinale (Madison Keys). Sei vittorie fin qui, 5 contro giocatrici statunitensi: Jessica Pegula, Danielle Collins, Sofia Kenin, Keys e in semifinale Amanda Anisimova. Un percorso con delle trappole, soprattutto per chi non aveva mai ottenuto granché sul rosso (in generale) e a Parigi vantava un secondo turno come miglior risultato. Pochissime aspettative, eppure è a una vittoria dal titolo.
È stata in difficoltà a conti fatti solo contro Anisimova, e lo ha riconosciuto in maniera molto lucida in un’altra risposta data in conferenza stampa: “Non ho giocato bene, ma ho trovato quello che mi serviva nel momento giusto”. Può essere tradotto, brutalmente, in coraggio nel prendersi in maniera più decisa le occasioni quando si presentavano, quando la sua avversaria ha cominciato a pensare troppo al momento, prima di reagire molto bene alle concitate fasi del terzo set. La sensazione, vedendola fin qui, è che lei sia riuscita spesso ad adattarsi molto bene al gioco dell’avversaria che aveva di fronte. Contro Keys l’ha portata per esempio a muoversi tanto lungo il campo, contro Kenin ha controllato gran parte della partita grazie ai suoi colpi dalla linea di fondo oltre che alle solite importanti doti di tocco. Una cosa che ha stupito, semmai, è che in queste due settimane non è mai veramente andata in affanno non fosse per quel momento in cui Anisimova si è presa il primo set e ha vinto in tutto 17 punti consecutivi, cancellato poi dal suo rientro e dal successo finale.
Si sta divertendo, e lo diceva con grande serenità parlando con la stampa di un risultato che per il suo paese vale oro. Nella terra dei canguri manca un successo Slam in singolare dallo US Open 2011 con Samantha Stosur, anche quello un po’ sorprendente se pensiamo essere arrivato con un netto 6-2 6-3 ai danni di Serena Williams a New York. Quest anno lei aveva vinto il titolo più importante proprio da quel giorno, con il Premier Mandatory di Miami, ma ora ha tra le mani la grande chance di un Major sul terreno che comunque per lei rimane molto ostico ma che in queste due settimane ha trovato il modo di trattarlo “a suo modo”, cercando di fare dello slice di rovescio un colpo un po’ più offensivo, sfruttando un rimbalzo non sempre ottimale, e un dritto abbastanza pesante. In finale, però, avrà di fronte per la prima volta nel torneo una giocatrice che sa fare tutto come lei, se non con qualche vantaggio dal punto di vista tecnico.
Vondrousova, la prima teenager ad arrivare in una finale Slam dal 2009 è anche lei una giocatrice che tratta la palla con molta cura e intelligenza, ma è mancina. Le piace tantissimo manovrare il gioco col proprio dritto, cominciare lo scambio verso l’incrociato. E il rovescio di Barty, se non sarà sempre in slice, potrebbe rischiare di farle perdere campo. Barty non ha mai giocato contro una mancina in queste settimane su terra battuta, neanche questo un fatto troppo simpatico se pensiamo che Marketa non ha granché per quanto riguarda la potenza, ma ha soprattutto precisione e capacità di andare verso gli angoli. E a lei, che della smorzata è e diventerà una maestra, piace probabilmente di più giocarla su una palla tagliata.
Detto del puro aspetto tecnico che potrebbe dare un po’ più vantaggio alla giocatrice di Sokolov, ora passiamo all’altro punto che per forza viene fuori in sfide di così alto livello. Barty a 23 anni appena compiuti si ritrova a giocare la prima finale Slam come la più “anziana” delle due. Lei in carriera ha vinto 4 tornei su 8 finali, e ora snoccioliamo i dati: due titoli International, la vittoria a Zhuhai nel 2018 e il titolo a Miami. Le sconfitte sono arrivate in tre Premier e un Premier 5. Chi l’ha sconfitta? Due volte Petra Kvitova, una Angelique Kerber e una Caroline Garcia nel miglior momento della carriera. Il biglietto da visita da questo punto di vista non è poi male, e se c’aggiungiamo che ha già giocato finali Slam in doppio, probabilmente almeno da un punto di vista di emozioni non sarà così presa come potrebbe essere la sua avversaria, che finora ha giocato 3 finali in carriera vincendone una, la prima, nel 2017 a Biel. Eppure parlare di tensione, per lei, sembra un po’ strano: 6-4 6-3 al primo turno, 6-4 6-0 (da 1-4) al secondo, 6-4 6-4 (da 2-4 nel primo set) al terzo; 6-2 6-0 al quarto, 7-6 7-5 ai quarti (rientrando da 5-6 0-40) e 7-5 7-6 in semifinale rientrando in entrambi i casi da 3-5.
Vondrousova è stata eccezionale fin qui, sempre molto calma e concentrata, pregevole nelle sue soluzioni e dimostrando grandissimo atletismo. Petra Martic, dopo averci perso per la prima volta in carriera (era 4-0) ai quarti di finale, disse una cosa: “In campo mi ricorda un po’ Simona Halep. Ho la sensazione che sia molto difficile controllare veramente i punti con lei, devo sempre spendere tante energie perché lei legge sempre quello che voglio fare, e non posso alle volte permettermi una mezza frazione di ritardo. Credo sia in assoluto una delle migliori a muoversi in campo e poi c’è tutta la qualità del suo gioco”. La loro sfida fu giocata ad alti livelli e può dare un’anticipazione di quello che sarà la finale. Vondrousova ad aprirsi il campo col dritto prima di portare in azione il rovescio, Barty che vorrà invece portarsi la palla sul suo dritto per arrivare alla chiusura.
Al di là di tutto, al di là dei pronostici che possono essere saltati, questa finale racchiude un po’ il senso della stagione. Barty qui diventerà in ogni caso la giocatrice più vincente del 2019. Finale a Sydney, quarti di finale all’Australian Open, ottavi a Indian Wells, vittoria a Miami, quarti di finale a Madrid, ottavi a Roma e ora una clamorosa finale Slam a Parigi. 30 vittorie e solo cinque sconfitte. Vondrousova è ad altissimi livelli da fine febbraio: secondo turno all’Australian Open e poi finale a Budapest, quarti di finale a Indian Wells e Miami, finale a Istanbul, quarti di finale a Roma e ora l’appuntamento con l’ultimo atto a Parigi. Per lei ci sono 28 vittorie su 34 partite giocate. Una nuova vittoria e diventerebbe la seconda più vincente della stagione.
È parte anche questo di un processo che sta radicalmente rivoluzionando gli scenari del circuito WTA. Siamo al settimo torneo “pesante” del 2019 e anche questo verrà vinto da una giocatrice under-23 (o comunque, che era ventiduenne al primo gennaio 2019). Partendo dallo scorso US Open l’elenco è facile
US Open: Naomi Osaka (1997)
Wuhan: Aryna Sabalenka (1998)
Pechino: Caroline Wozniacki (1990)
Singapore: Elina Svitolina (1994)
Zhuhai: Ashleigh Barty (1996)
Australian Open: Naomi Osaka
Dubai: Belinda Bencic (1997)
Indian Wells: Bianca Andreescu (2000)
Miami: Ashleigh Barty
Madrid: Kiki Bertens (1991)
Rome: Karolina Pliskova (1992)
Roland Garros: Ashleigh Barty o Marketa Vondrousova (1999)
Otto vincitrici under-23 negli ultimi 12 tornei “pesanti”, che siano Premier Mandatory, Premier 5 o Slam. La classe degli anni ’80 sta sparendo, se non per qualche leggenda che è ancora in cerca di gloria, e per tanti motivi questa finale Slam sa di “Ritorno al futuro”, perché da sempre la WTA ha prodotto campionesse di età molto giovane e ora, dopo tanto tempo, ecco ripetersi questa linea verde con uno sguardo al tennis del domani, uno sport che comunque lo si voglia vedere è cambiato tanto sia nella sua struttura che nelle sue componenti che nel suo modo di essere giocato e intrapreso. Allo stesso modo, però, Barty e Vondrousova sono due ragazze per cui non potremmo mai usare l’appellativo (censurabile, diciamolo) di “sparapalle” perché non hanno nella potenza la loro arma principale in un universo di giovanissime ricco di tanti profili interessanti come la stessa Anisimova, come Iga Swiatek, come Dayana Yastremska (già 3 titoli WTA negli ultimi 6 mesi), come tante altre che si stanno facendo notare sempre più. Sembrano probabilmente a loro volta di due generazioni diverse: Barty collegata più a Naomi Osaka, Belinda Bencic, Alona Ostapenko e Aryna Sabalenka mentre Vondrousova maggiormente legata alle giocatrici del nuovo millennio, ma alla fine potremmo dire di un unico cerchio di grande qualità. Ed eccoci qui, dunque, alla finale di uno Slam più giovane da quella giocata nel 2008 tra Ana Ivanovic e Dinara Safina, nel grande giorno della serba che diventava la prima del proprio paese (al femminile) a vincere uno Slam e (in assoluto) a diventare numero 1 del mondo in singolare.
Sta cambiando tanto nel tennis femminile, anche se magari a breve ci sarà una piccola serie in favore delle “veterane” (tra virgolette, perché persino Petra Kvitova qui è vista come una veterana). E se ancora non riusciamo a crederci che una tra Barty e Vondrousova tra poche ore sarà una nuova campionessa Slam, basterà unire i puntini di un percorso ormai tracciato. E nel frattempo, abbiamo scelto come foto simbolo della nostra preview una doppia immagine delle due protagoniste odierne che stringono tra le mani i loro primi trofei. Chissà chi delle due potrà metterci accanto il più importante titolo della stagione su terra battuta.
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