[4] R. Nadal b. [3] S. Wawrinka 6-2 6-3 6-1
Ci sono imprese per le quali diventa difficile trovare degli aggettivi appropriati. Momenti che necessariamente devi vivere, davanti ad un video, come da spettatore non pagante, noi che, tra l’altro, abbiamo questa fortuna, e di getto trasmetterle ai posteri, affrettandoti a trovare il sostantivo giusto per renderle magiche, come il momento stesso appena vissuto.
Ecco allora che c’è una data: 11 giugno. Un luogo: il Roland Garros. Una città: Parigi. Un’ora fatidica: 17 e 24 di un pomeriggio che ricorderemo a lungo. Un uomo vero, prima di un tennista straordinario: Rafael Nadal. Immenso, come quel numero che è da sempre la storia del calcio, oggi cucito addosso al mancino di Manacor, come dietro la maglia di Pelè, Maradona, Rivera, Totti e chi più ne ha, più ne metta. Il numero è il 10, a sintetizzare i Roland Garros che fanno bella mostra nella bacheca della sua Accademia. L’ultimo, per la “decima”, oggi. Il più bello, forse. Arrivato al termine di due settimane di assoluto dominio. Un’impresa senza precedenti, perchè vincere dieci Roland Garros è un qualcosa che non si può raccontare: sminuiremo il significato di una delle più belle pagine e imprese dello sport mondiale.
Un po’ come le tre corone mondiali riconquistate, dopo averle perse, da Muhammad Ali o il “10”, tanto per restare in tema, di Nadia Comaneci alle Olimpiadi di Montreal nel 1976. Gemme incastonate, dimanti preziosi da custodire gelosamente. Oggi, tanto per non smentirsi, Nadal è stato perfetto. Animale, come pochi, da terra battuta, pronto a cucinare a fuoco lento il povero Stan Wawrinka e a divorarlo in un amen. Rafa è entrato nell’arena parigina a ridosso del Bois de Boulogne, come si conviene ad un lottatore vero. Pronti, via, ha salvato una palla break al terzo gioco, ne ha mancate tre nel quarto, ma poi, dal sesto gioco, il match lo ha comandato lui, relegando il dirimpettaio scudocrociato ad un ruolo di comprimario. Dal 2-2 al 6/2 (42′) 3-0 in un amen. Come se niente fosse, come se quella non fosse la finale di uno Slam, ma un semplice allenamento su uno dei campi secondari. Lo ha messo all’angolo e riempito di cazzotti. Ha azzannato la preda e se l’è divorata strada facendo.
Completando l’opera con un 6/3 chirurgico nel secondo set, figlio del break a zero del secondo gioco e con un terzo set dove il povero Wawrinka ha notato la griffe delle gialle palline soltanto al momento di trovare quella giusta da servire: poi basta. Niente più. Solo Nadal, al comando e in fuga verso il decimo titolo sul “rosso” più pregiato. Lo spagnolo è sembrato di un’altra categoria, come d’incanto prestato a noi umani, piovuto dal cielo e da qualche pianeta misterioso, figlio di quel tennis che soltanto lui, interprete meraviglioso, sa giocare quando lo scivolare sull’amata terra, è un qualcosa che lo rende felice. Ha vinto Nadal, anzi ha strvinto: 6/2 6/3 6/1 in due ore e cinque minuti di gioco. Mettendo insieme il 15esimo Slam, il 73esimo titolo in carriera e ritrovando, da domani, la seconda posizione nel ranking alle spalle di Murray.
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