Fed Cup: lo squadrone azzurro non c'è più, è ora di costruire il futuro

TENNIS – Di Gianluca Atlante

C’era una volta il tennis femminile. Bravo a portare sempre in porto la nave, a farci godere di vittorie importanti, a far sventolare il tricolore, come nel caso di Francesca Schiavone, Sara Errani e Flavia Pennetta, in cima a stadi importanti.

C’era una volta, ma ora non c’è più. Per carità, adesso ci diranno che il gufo, sul trespolo, ha sortito l’effetto sperato, per chi osa pensare sempre e comunque in negativo di tutto e di tutti, ma qui non si tratta di essere pessimisti, bensì realisti e noi, prima di altri, avevamo provveduto ad avvertire chi ci segue, ad accendere quello che in molti chiamano campanello d’allarme, trovando modo e tempo, quando le splendide ragazze del nostro tennis ancora vincevano, di dire che, a dispetto di altre volte, il ricambio generazionale non c’era e che, a quanto pare, non si stava nemmeno facendo nulla per provare a crearlo.

Oggi il “dado è tratto”. La sconfitta in Fed Cup con la Francia a Marsiglia, rappresenta quel comun denominatore dal quale non ci si può assolutamente sottrarre. Sara Errani (22 del mondo), ahilei, non è più quella di due o tre anni fa, Camila Giorgi (40 del mondo) è una macchina che potrebbe andare, ma del condizionale ci facciamo poco, la Vinci (16 del mondo), al suo ultimo anno di attività, le sue cartucce vuole spararsele in altro modo, Karin Knapp (60 del mondo) è ferma ai box, ma crediamo che, anche lei, il suo lo abbia dato, Flavia Pennetta (ancora in classifica al numero 7) rappresenta un recente passato che ancora brucia dentro di noi e Francesca Schiavone (114 al mondo) sta, probabilmente, lavorando per vedere cosa fare da grande.

A Marsiglia, il cittì azzurro, Corrado Barazzutti, ha portato con sé Martina Caregaro, numero 254 dell’ultima classifica mondiale, ma già classe ’92. E, a 24 anni, i margini di crescita, al di là che noi siamo un popolo latino e, dunque, una sorta di diesel in fatto di crescita sportiva fisica e psichica, non sono pochi. Scorrendo la classifica, potremmo soffermarci su Alice Matteucci, classe ’95, numero 330 del ranking o magari su Cristiana Ferrando, numero 361, anche lei del ’95, ma capite da voi che con la fantasia ci fai poco e che il presente che abita nelle loro case, non offre margini di garanzia tali da prevedere un qualcosa di buono, attenzione, e non di straordinario, nel breve. Sarebbe opportuno, ma sappiamo sin da ora che nessuno si batterà la mano sul petto, stare con i piedi per terra e cominciare, così com’è stato in passato, a ricercare il problema alla base, provando a rizollare un terreno ormai arido.

Una volta c’era Latina, la scommessa vincente di Francesco Costantino e Massimo Di Domenico. Da lì nacque tutto. Perché si passò da Reggi, Cecchini, Golarsa e Garrone, alle varie Linda Ferrando, Silvia Farina, Rita Grande, Tathiana Garbin, Francesca Schiavone, Flavia Pennetta e, successivamente, ma nel breve, a Roberta Vinci e Sara Errani.

Oggi il panorama in “rosa” è una sorta di “deserto dei Tartari”. Il serbatoio, insomma, è vuoto e senza benzina non si va da nessuna parte. Sarebbe opportuno meditare sulla base di quanto accaduto a Marsiglia e, soprattutto, cominciare ad agire. Non pensando più a quello che è stato, alle vittorie in Fed Cup, ai successi al Roland Garros e all’Open degli Stati Uniti di Schiavone e Pennetta, tanto quello non lo porta via nessuno, ma a cominciare a capire il perchè di una situazione che non è bella proprio per niente. Almeno per chi segue il tennis con passione e dovizia di particolari, senza sventolare una bandiera tanto per il gusto di farlo. Le bambole, insomma, sarebbe opportuno lasciarle pettinare ad altri. Oggi il tennis italiano deve cominciare seriamente ad interrogarsi. Perchè se sino a ieri le donne aveva salvato “capra e cavoli”, ora c’è veramente da che mettersi le mani nei capelli.

 

Dalla stessa categoria