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Lleyton Hewitt, australiano diventato leggenda

TENNIS – Di Diego Barbiani

Era dal 1939 che l’Australia non completava una rimonta, in Coppa Davis, da uno svantaggio di 0-2.

Quella volta avvenne durante il Challenge round contro gli USA, che vinsero i primi due singolari con Bobby Riggs e Frank Parker, battuti entrambi nella giornata conclusiva da Adam Qvist e John Bromqvist mentre nel doppio i due australiani si erano imposti su Jack Kramer e Joseph Hunt.

Altri tempi. Loro, i ‘canguri’ hanno dovuto attendere quasi settantasei anni prima di compiere una nuova impresa del genere, stavolta non contro una nazionale dal blasone sconfinato come quella statunitense ma contro il ‘neonato’ Kazakistan, che si è insediato nel World Group a suon di milioni nel 2010 e da lì non è mai uscito, ottenendo vittorie di grande prestigio come quella all’esordio assoluto in casa della Repubblica Ceca che poi diventerà per due volte vincitrice del trofeo tra 2012 e 2013. Un lasso temporale lunghissimo, dove hanno visto passare gente come Rod Laver, John Newcombe, Ken Rosewall, Roy Emerson, Tony Roche, e numerosi altri ottimi giocatori che hanno costruito il mito del tennis australiano tramandatosi poi fino ad oggi. Persone che hanno lottato per tantissimi anni sui palcoscenici più importanti.

Oggi la questione è un po’ più complicata, con il solo Lleyton Hewitt che nei primi anni 2000 ha mantenuto alta la bandiera australiana arrivando al n.1 del mondo e vincendo due Slam tra cui quello di Wimbledon. Lui, australiano abbastanza atipico perché adora la lotta, lo scambio lungo, quel braccio di ferro continuo con l’avversario. Lui che non ha ricevuto in dote una stazza fisica che può gareggiare (in altezza) con i giocatori ‘nuovo stampo’, tutti alti e con servizi micidiali. A Lleyton piace un altro tipo di gioco, pur non disdegnando le discese a rete. A Lleyton piace sentire nelle proprie vene quell’adrenalina pura che lascia esplodere in un urlo poderoso accompagnato da un’esultanza che l’ha reso celebre un po’ in tutto il mondo. La sua è stata una lotta continua contro chi, come all’inizio Roger Federer o Marat Safin poteva essere più dotato tecnicamente, poi con il suo stesso fisico che da quando aveva 24 anni non lo ha mai lasciato in pace. Sono stati tanti gli interventi chirurgici che hanno provato a destabilizzarlo, eppure tornava sempre in campo con una grinta da fare invidia a tantissimi ragazzi a livello junior.

Facile dargli l’appellativo di ‘vecchio leone’, meno quello di insignirlo di leader di una squadra nuova, che dopo gli anni della retrocessione nella serie B della Coppa Davis vuole ritornare anche solo ai fasti dei primi anni 2000, quando dal 1999 al 2003 Hewitt raggiunse quattro finali e portò a casa due insalatiere contro Francia e Spagna. In quegli anni poteva contare sull’appoggio di grandi campioni come Philippousis o il duo ‘Woodies’ (Woodford e Woodbridge, considerati tra i più forti doppisti degli ultimi venti-trent’anni), ora invece è lui che deve tramandare tutto quello che ha appreso a giocatori come Nick Kyrgios e Thanasi Kokkinakis, forti, forse fortissimi, ma ancora acerbi. Nel weekend di Darwin, cominciato un po’ in sordina, sono stati proprio i due giovani a venire travolti con molta sorpresa da Mikhail Kukushkin ed Alexandr Nedovyesov. Sembrava l’inizio di un piccolo incubo, un sogno, quello di Hewitt che si ritirerà dopo l’Australian Open 2016, che stava andando in frantumi. Vincere l’insalatiera nell’anno d’addio, lasciare un segno ancor più netto nella storia del tennis australiano sarebbe forse la fine più bella per un grande protagonista come è stato lui, sempre presente per la sua nazionale e maturato negli anni, dopo episodi controversi come lo sputo a Juan Ignacio Chela durante lo Slam di casa.

E dunque è bello ed anche romantico che alla fine sia stato proprio lui a timbrare il terzo punto contro il Kazakistan, lui che è stato letteralmente travolto dalla gioia che Kyrgios e Kokkinakis non riuscivano a trattenere. I due scuderi ciecamente devoti al loro capitano. E visto che il destino, in qualche modo, può sempre concedere una seconda chance, ecco che è cominciata a girare una voce: aprire Wimbledon per la semifinale tra Gran Bretagna e Australia a metà settembre. Sarebbe l’ultima vera occasione per Lleyton sui verdi prati inglesi, dove a giugno fu sconfitto da Jarkko Nieminen 10-8 al quinto set. Aveva lasciato l’All England Club pieno di rammarico. Non sarà semplice, perché l’ultima volta che ci giocarono (nello spareggio per il World Group del 2000), i padroni di casa con Tim Henman e Greg Rudeski furono incredibilmente battuti dall’Ecuador in quella che tutt’oggi viene ricordata come una enorme disfatta. Però mai dire mai, mai gettare la spugna, qualcosa che uno come Hewitt non ha mai fatto in sedici anni di carriera.

 

 

Diego Barbiani

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