E rieccoci: sto Sinner è un campione o no? Come tutti i concetti ambigui o poco precisi (datemi un concetto semanticamente chiaro e vi solleverò il mondo) il termine “campione” pare fatto apposta per scatenare discussioni che solo il poco di civiltà raggiunta impedisce di far deflagrare in appuntamenti all’alba, dietro una chiesa, per risolverla all’arma bianca. Sinner, lo sappiamo tutti, ha perso una partita che nessuno pensava potesse realmente perdere, contro Cerundolo, ottimo giocatore, persino in crescita ma, diciamocelo, uno per cui nessuno in Italia userebbe la parola “campione”. Cerundolo d’altra parte ha quasi 25 anni – ad agosto – non è mai stato top 20, ha vinto il suo unico torneo sulla terra di Bastad, contro Sinner ha vinto la sua quinta partita contro un top10, è al suo terzo quarto di finale in un Masters 1000. Dei due precedenti ne ha vinto uno solo indovinate contro chi? Esattamente, contro Sinner, che si era ritirato sull’1-4 del primo set a Miami.
Questo ripetersi degli acciacchi del giovane altoatesino può significare troppe cose per lanciarsi in interpretazioni. Djokovic, ad inizio carriera, non era troppo diverso; Federer si sarebbe fatto uccidere piuttosto che uscire dal campo prima del match point. Come che sia il dibattito si è riaperto: cosa ci dobbiamo aspettare ragionevolmente da Sinner? Su di lui, per quanto sia inelegante autocitarsi, ci eravamo già espressi e per una volta sembra che non fossimo tanto lontani dal vero. Sinner rimarrà a lungo top10, farà una capatina, forse di più, nei top5 e con un tabellone agevole potrebbe vincere persino un paio di Slam o di Masters 1000. Se non li vincesse qui non si scandalizzerebbe nessuno, perché per restare nell’ultimo ventennio si è vista gente come Berdych, Tsonga, del Potro non vincere niente. Lo stesso Murray ha vinto appena tre slam, e stiamo parlando di gente che è un po’ lontana da Sinner. Murray anche più lontana di un bel po’. Se al tirar delle somme questo non è un campione vedete voi, da queste parti ci si accontenta.
Nella stessa giornata è venuta anche la sconfitta di Musetti, seppure con un giocatore di ben altra caratura. Però anche Tsitsipas non attraversa il suo miglior momento e sicuramente ha preso Roma come una tappa di avvicinamento al Roland Garros, dove proverà a giocarsi tutte le sue carti. Musetti, che non ha ancora queste ambizioni, dovrebbe trovare il modo di approfittre di queste circostanze favorevoli, ma a differenza di Sinner che ha un gioco più “semplice”, Musetti sta ancora aspettando che tutto si incastri alla perfezione. Di nuovo: chi può prevedere se tutto questo succederà? Per il circuito si aggira smarrito Shapovalov, uno che forse ha più talento di tutti ma che in questo momento sembra addirittura irrecuperabile, e quindi si tenga ben presente che saper gicoare benissimo può non essere per niente sufficiente.
Ma il problema rimane le fanfare, quelle sì insopportabili, che si succedono senza sosta a spiegare come spezzeremo reni a questo e quello e come vinceremo Slam, 1000, e Davis senza manco inarcare un sopracciglio. E che accoglie le sconfitte non come occasione di riflessione, magari per aggiustare giudizi azzardati, ma semplice casualità che svaniranno come neve al sole la prossima volta, o quella dopo, o quella dopo ancora. Girano giustificazioni che rasentano il ridicolo – una sconfitta di Musetti contro Jarry è stata addebbitata all’altura, per quella di ieri si è parlato di “pantano come a Monte Carlo” – se non fosse che sono spintoni per cercare di farsi più belli di pria contro una federazione il cui valore e le cui capacità sono perfettamente evidenziate negli internazionali che stiamo tutti seguendo. Grande capacità promozionali – i poveri Nardi e Cobolli “venduti” come fossero Kyrgios e Medvedev, salvo poi perdere contro gente che non giocava da mesi o che sta smettendo – bravissimi a vendere prodotti, terribilmente carenti dal punto di vista, diciamo così, sportivo. Pensano a ricchi e ragionano da ricchi, beati loro. De coubertin non abita da queste parti in fondo.
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