Premessa più che doverosa: Rafael Nadal è un fuoriclasse eterno, non solo uno dei più grandi tennisti di sempre ma senz’altro uno dei migliori atleti in assoluto della storia. Se si dovesse stilare una delle solite classifiche inutili sui sportivi in generale, lo spagnolo non potrebbe non occupare una delle primissime posizioni e si potrebbe tranquillamente azzardare che, allo stesso modo di pochi altri, non sia secondo a nessuno. Riguardo alla vittoria leggendaria di domenica non si può non rimanere emozionati ed increduli davanti ad un trionfo tanto inaspettato per come erano le premesse prima del torneo e per come ha ripreso una finale che aveva praticamente già perso. Detto questo, è altrettanto doveroso chiedersi dove cominciano i meriti del maiorchino e iniziano i demeriti dell’avversario, perché è innegabile aver assistito a qualcosa di davvero allucinante non solo nell’impresa del grande ‘vecchio’ ma anche e soprattutto nel suicidio sportivo di uno molto più giovane di lui che è letteralmente crollato dal punto di vista psicologico e fisico.
Sia chiaro, Medvedev è un ottimo tennista che ha vinto uno slam e altri tornei importanti mettendo in mostra un gioco e un modo di colpire la palla forse sgraziato ma sicuramente originale; in più è un personaggio notevole, basti pensare ai suoi continui battibecchi col pubblico o alle dichiarazioni, come quelle in sala stampa dopo il disastro, spesso interessanti e non prive di profondità. Ma il modo in cui è arrivato alla sconfitta nell’ultimo match non può che suscitare enormi perplessità; non è certo la prima volta che uno con molti anni in meno sul groppone perda malamente una finale contro un super campione più in là negli anni: basti pensare all’ultimo atto del Roland Garros dello scorso anno in cui Tsitsipas ha sventolato bandiera bianca di fronte a Djokovic dopo aver dominato i primi due set. Ma se è possibile, il russo è riuscito nella non facile impresa di far peggio del greco: nella partita parigina Stefanos dal terzo set ha iniziato a sbagliare di più e l’avversario si è limitato a non sbagliare più nulla mentre in quella di ieri Medved si è reso protagonista di tante ingenuità e follie davanti ad un fuoriclasse che però non solo ha continuato a commettere errori fino alla fine ma che è sembrato al capolinea limitandosi a buttare la palla spesso non superando la metà dell’altra parte del campo. Perché bisogna dire una verità che la maggior parte degli addetti ai lavori e commentatori sembra voler rifiutare per non far credere di ‘sminuire’ il trionfo (ripetiamolo a scanso di equivoci: straordinario) di un tennista la cui levatura è indubitabile e che ci sta accompagnando da ben 18 anni; ieri Nadal, come del resto nel quarto di finale e nella semifinale (su cui sorvoliamo ma sulla quale ci sarebbe tanto da discutere), ha giocato male e ciò nonostante ha portato a casa il risultato. Anche qui intendiamoci: non è certo la prima volta che il maiorchino pur non splendendo sia riuscito in qualche modo a venire al capo di un match che quasi chiunque altro avrebbe perso. Però stavolta abbiamo assistito a qualcosa di diverso: certamente Rafa ha mostrato qualche colpo dei suoi, oltre che la solita determinazione e capacità di non arrendersi mai, ma innegabilmente non si è visto il Nadal di una volta che nel momento del recupero non sbaglia più nulla e corre sempre, non solo a tratti, più di prima.
Ed è qui la nota dolente che vorremmo sottolineare: la finale di ieri è stata l’emblema di una generazione fenomenale incarnatasi in tre fuoriclasse che hanno superato ogni limite di bravura ma allo stesso tempo la certificazione del fallimento tennistico delle due generazioni successive che ci hanno anche messo del loro nella serie inarrivabile di record di quella precedente. Perché ieri Medvedev doveva vincere, trattandosi di un signor tennista di 10 anni più giovane che aveva la fortuna di trovarsi di fronte un giocatore certo enorme, ma che non solo è molto più anziano ma in più tanto sotto i suoi standard rispetto pure alle ultime vittorie slam non certo paragonabili a quelle degli anni d’oro. Invece il russo è stato capace di perdere, in questo caso per fortuna dell’epos, della narrazione mitica, della favola a lieto fine in cui campioni 36enni prevalgono su 25enni che giocano benissimo ma hanno debolezze caratteriali a dir poco incredibili. Ora vedremo cosa succederà al Roland Garros e più avanti ancora negli anni, se ad esempio un Alcaraz (e perché no, anche il nostro Sinner) riuscirà a non squagliarsi sul più bello dal punto di vista mentale e a costringerci a scrivere di ottimi 20-25enni che perdono la testa davanti a tennisti probabilmente inarrivabili con però vent’anni in più di loro; il che certamente ci permetterebbe di vedere ancora qualcosa di unico nella sua imprevedibile bellezza e quindi va benissimo così: senza però dimenticare di raccontare tutti gli aspetti di come sono arrivati alcuni trionfi.
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