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30 Dic 2019 14:58 - Diamo i Numeri
La classifica del 2019 di Oktennis: sempre i soliti tre, ma Nadal…
La classifica di OkTennis Magazine realizzata da Francesco Posteraro
di Redazione
La classifica di OkTennis Magazine realizzata da Francesco Posteraro, uno dei cinque membri della Autorità per le Garanzie nelle Telecomunicazioni (AGCOM) e grande appassionato di tennis, mette il suggello alla stagione per l’undicesimo anno consecutivo.
Nasce da presupposti diversi rispetto a quelli dell’ATP, favorisce maggiormente i risultati ottenuti nei tornei del Grand Slam e nei tornei più importanti in genere, e non dimentica la Davis.
Il magazine, e ora il nostro sito, nel pubblicarla e sostenerla, non l’ha mai presentata come antagonista a quella dell’ATP, piuttosto come un differente punto di vista che può aiutare a meglio comprendere la sostanza della stagione appena terminata. Di fatto, è stata sempre pubblicata di fianco a quella dell’associazione, convinti come siamo che l’una accanto all’altra offrano un’immagine più corretta del tennis giocato. Con questa premessa, pubblichiamo anche le regole che ispirano la nostra classifica e il confronto fra le due classifiche dal 2009 a oggi.
Gli anni dieci di questo secolo si sono chiusi come erano cominciati: con Nadal al primo posto della classifica e gli altri due fenomeni al suo fianco sul podio, sia pure in ordine invertito. Roger, Rafa e Nole, peraltro, avevano monopolizzato le prime tre piazze del ranking anche precedentemente, fin dal 2007.
La loro sfida vittoriosa alle leggi del tempo è ancora in atto, a riprova di una continuità di rendimento ad altissimo livello che ha pochi termini di raffronto nella storia non solo del tennis, ma dello sport in generale. Il loro interminabile dominio si riflette in una serie di dati statistici che è riduttivo persino definire impressionanti.
Da venti Slam, sempre i soliti tre
Non si registrano nuovi ingressi nell’esclusivo club dei vincitori degli Slam dal successo di Cilic negli US Open 2014: sono trascorse da allora cinque intere stagioni, sono stati disputati ben venti tornei. In precedenza, si era arrivati al massimo a undici grandi prove senza new comers. Gli ultimi tredici majors sono stati vinti tutti da ultratrentenni. Il precedente primato era di cinque. Nadal, Djokovic e Federer si sono aggiudicati gli ultimi dodici Slam: una striscia, ancora aperta, che è seconda solo a quella di diciotto successi consecutivi realizzata dagli stessi tre giocatori dal Roland Garros 2005 a Wimbledon 2009. Potrei continuare ancora, ma rischierei di comprimere lo spazio destinato alle vicende della stagione appena conclusasi.
I cinque brindisi di fine anno: Rafa come Roger e Nole
Conquistando la prima posizione della graduatoria di fine anno per la quinta volta in carriera, Nadal ha pareggiato i conti con i suoi due grandi avversari (per la verità, Federer avrebbe meritato di stare davanti a tutti anche nel 2003, quando l’ATP ebbe a preferirgli incongruamente Roddick: a parità di successi negli Slam, Roger si era aggiudicato sette tornei, tra cui il Masters, contro i sei di Andy, aveva disputato dieci finali contro le otto del rivale, aveva vinto un maggior numero di incontri, ne aveva persi di meno ed era in vantaggio nei confronti diretti). Rafa ha raggiunto la vetta del ranking per la prima volta nel 2008, quando ha posto fine al dominio tirannico di Federer. È stato poi capace anche di impedire, strappandogli il primo posto nel 2013, che divenisse altrettanto tirannico il dominio di Djokovic. In tutti questi anni ha letteralmente sbriciolato la concorrenza sui campi in terra rossa, senza però mai dare l’impressione di potersi imporre sulle altre superfici – sulle quali si disputa circa il settanta per cento dei tornei – con la prepotenza che ha caratterizzato gli altri due extraterrestri nei loro momenti di maggior fulgore. Accanto ai numerosi infortuni subiti, è forse anche questa la ragione per cui il fuoriclasse maiorchino, a differenza di Federer e di Djokovic, non è mai riuscito a mantenere il primato per due annate consecutive.
Finale in crescendo
Questa volta però, a differenza delle altre, Nadal ha finito la stagione in crescendo. Le sue prestazioni in Coppa Davis sono state semplicemente mostruose. Sebbene non abbia incontrato nessun top ten, nella Caja Magica Rafa è apparso inattaccabile, del tutto privo di punti deboli. Merito, tra l’altro, anche del suo costante impegno nel dedicarsi a perfezionare ogni aspetto del suo gioco, che lo ha portato a modificare il movimento del servizio, migliorandone sensibilmente l’incisività, e quindi a dover spendere minori energie e a correre minori pericoli nella difesa dei propri turni di battuta.
Dopo lo squillante trionfo di Melbourne, Djokovic sembrava avviato a lasciare ai suoi avversari, soprattutto sui terreni veloci, poco più che le briciole. Per carità, con due major all’attivo la sua annata resta comunque più che positiva. Ma il successo di Wimbledon, senza voler togliere nulla ai suoi meriti, è dovuto almeno in ugual misura all’incapacità di Federer di aggiudicarsi un incontro pressoché vinto.
L’impresa dell’anno svanita nel nulla
Sui prati inglesi Roger ha incredibilmente mancato, a un passo dal traguardo, un’impresa che sarebbe stata a mio avviso la più straordinaria della sua carriera, che molti ritengono ormai giunta al capolinea. Federer ha smentito più volte le previsioni che lo avrebbero voluto soccombente all’inesorabile logorio del tempo. Perché possa accadere di nuovo, perché Roger possa recitare ancora un ruolo da protagonista negli appuntamenti che contano, bisognerà che il suo sconfinato talento sia assistito da una condizione fisica ottimale. Il che è ovviamente una grossa incognita per un atleta che nel 2020 compirà trentanove anni: un’età nella quale nessuno è stato capace di vincere uno Slam da oltre un secolo a questa parte.
A proposito di età, l’irruzione fra i primi dieci di Medvedev, Tsitsipas e Berrettini ha notevolmente ringiovanito la top ten list. Insieme con Thiem, il russo e il greco si candidano da subito come possibili alternative ai Big Three nelle prove dello Slam. È vero che per troppe volte l’avvento al potere della Next Generation, ritenuto ormai prossimo, è stato poi rinviato a data da destinarsi. È vero che Nadal, Djokovic e Federer sembrano ancora in grado di esprimere, quando sono al meglio, una cifra di gioco più elevata di quella alla portata dei loro più giovani competitori. Ma adesso, con ogni probabilità, i tempi sono ormai maturi per l’inserimento di qualche nome nuovo nell’albo d’oro dei Major.
Berrettini, giocatore vero
Medvedev è andato molto vicino al successo negli US Open di quest’anno. Thiem ha già disputato due finali al Roland Garros. Tsitsipas, trionfatore alle ATP Finals, ha dimostrato di possedere non solo doti tecniche di primissimo piano, ma anche la capacità di reggere la tensione nei momenti decisivi dei match. Sascha Zverev, a lungo annunciato come il più promettente dei nuovi, è apparso invece in netto regresso, sia in termini di classifica (per noi ancor più che per l’ATP) sia in termini di qualità di gioco. Problemi extratennistici potrebbero averne condizionato negativamente il rendimento: ma resta comunque l’impressione di un’involuzione tecnica che dovrebbe preoccupare lo staff del tedesco.
Sono state straordinarie, all’opposto, l’evoluzione e l’ascesa di Matteo Berrettini. Un giocatore vero, solido, non una meteora, che ha le qualità per restare nel giro dei più forti. Alto, potente, il tennista romano ha nel servizio e nel dritto le armi tecniche più efficaci. Ma non meno importanti sono l’equilibrio, la tenuta mentale, la determinazione e la volontà di migliorarsi costantemente. Con Berrettini e Jannik Sinner, che sta bruciando le tappe con straordinaria rapidità, il settore maschile del tennis italiano sembra prossimo a lasciarsi alle spalle – finalmente! – quattro decenni di vacche magre e a darci in futuro le soddisfazioni tanto a lungo attese.
Una Davis per Bautista Agut
Entrato per la prima volta fra i top ten, nella nostra classifica Roberto Bautista Agut è riuscito in extremis a precedere di stretta misura Berrettini e Zverev grazie al match vinto nella finale di Coppa Davis: una competizione che il ranking dell’ATP non considera – colpevolmente – a causa della perenne guerra fra le due organizzazioni che dovrebbero assicurare il buon governo del tennis mondiale. Dopo una vita da mediano, a trentuno anni lo spagnolo ha disputato la sua migliore stagione, impreziosita dalla semifinale a Wimbledon e da due successi su Djokovic, ottenuti a Doha e a Miami. Al pari di Bautista, anche Nishikori occupa, nella graduatoria di Ok Tennis, una posizione più elevata di quella attribuitagli dall’ATP. Il miglior rendimento negli Slam – ai quali il nostro ranking assegna un peso maggiore – ha consentito al nipponico di scavalcare Monfils, a sua volta penalizzato dall’inattesa battuta d’arresto in Coppa Davis.
Ecco, fra i protagonisti della stagione andrebbe annoverata anche la vecchia Coppa, sottoposta a un restyling certamente necessario, ma che avrebbe potuto e dovuto essere realizzato in maniera più razionale, dal punto di vista sia della formula che della programmazione. Saranno adottati, nelle prossime edizioni, i correttivi che appaiono necessari? Riusciranno lTF e ATP a smettere di farsi concorrenza, in modo da dare alla Davis il giusto risalto nel ranking e uno spazio nel calendario che non comprima la fase finale in soli sette giorni? Le risposte sarebbero sicuramente affermative, se le due organizzazioni avessero a cuore soltanto il bene del tennis. Il passato dice che c’è da dubitarne. Il presente si affida alle strategie del nuovo presidente Atp, Andrea Gaudenzi, uno che la Davis l’ha sempre amata.