[4] Ka. Pliskova b. J. Konta 6-3 6-4
Il quattordicesimo titolo in carriera per Karolina Pliskova è anche uno dei più importanti. La ceca si è infatti imposta nel terreno a lei più scomodo, la terra battuta, mettendo le mani sul titolo più “pesante” da Cincinnati 2016 e rilanciandosi al numero 2 del mondo, zona non più familiare a lei dalla fine dello US Open 2017 quando era addirittura numero 1 WTA.
Adesso, però, la ceca sta mantenendo una costanza di rendimento invidiabile perché Roma è soltanto l’ottavo torneo del suo 2019 e nella metà di questi è giunta almeno in semifinale. Questa era la terza finale e il suo secondo titolo, il primo per una giocatrice ceca dal 1978. Allora ci fu Regina Marsikova che sebbene giocasse con la bandiera Cecoslovacca è nativa di Praga. 15 anni più tardi nascerà la Repubblica Ceca, ma questa è un’altra storia.
Pliskova, numero 4 del seeding ma numero 7 del mondo lunedì scorso, completa un salto molto importante perché cancella in un colpo solo le uniche settimane negative finora del suo 2019 e lo fa anche grazie all’apporto di Conchita Martinez, lei che al Foro Italico si è imposta per 4 stagioni consecutive negli anni 90. Parte di quella costanza che ha guadagnato, Karolina, è anche nell’aver cambiato drasticamente la guida lo scorso settembre. Adesso Rennae Stubbs non c’è più, anche per le difficoltà logistiche che ci sono tra Europa e Australia, ma lei stessa è rimasta da subito molto grata a entrambe e ora che è rimasta solo Conchita con lei si sta affidando completamente alle sue mani. La off season in Spagna, poi altre settimane in Spagna dopo Miami. Ha avuto un virus che l’ha debilitata, ma da dopo Madrid ha potuto cominciare a spingere a tutta ed è venuta fuori una settimana di grande spessore.
Il capitolo finale di un percorso molto positivo è stato il 6-3 6-4 ai danni di Johanna Konta dove non si è fatta notare per il numero di ace (solo 3 a referto) ma parte del successo è arrivato grazie alla percentuale mostruosa di prime palle in campo nel set d’apertura: 23 punti su 27 giocati con la sua arma migliore. Un parziale così non lo perde mai. Ed è stato anche un progresso rispetto ai giorni scorsi dove il servizio cominciava a funzionare solo con l’inizio della seconda frazione. Oggi ha trovato il massimo pur raccogliendo poco, per lei che si fa chiamare simpaticamente “Ace Queen” (nome voluto più che altro dallo sponsor, la Fila, per commercializzare il proprio brand), ma è stata perfetta in tutto il gioco non concedendo alcuna chance alla britannica.
Un po’ di tensione soltanto alla fine quando i primi 2 match point sono stati mancati, ma con l’ultimo errore in rete della sua avversaria ha potuto liberare una gioia neanche troppo grande a essere sinceri, ma con un sorriso e un atteggiamento estremamente rilassato che lascia intendere quanto prezioso sia questo titolo. E sebbene la terra rimanga la superficie più dura per lei, dal 2015 a oggi ha raccolto tre titoli: Praga, Stoccarda e ora Roma. A questi si aggiungono la semifinale a Madrid e a Parigi. Difficile pensare a lei come giocatrice da battere al Bois de Boulogne, ma è lecito aggiungere anche il suo nome alla lista delle prime in seconda fascia. Molto dipenderà da tanti fattori, come sempre quando si tratta dello Slam parigino. Anzitutto dal sorteggio, con lei che avrà addirittura la seconda testa di serie.
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