Imbucati alle Finals: prima del 2000, da Barthes a Lapentti

Da Barthes a Tipsarevic, passando per Barazzutti e Hlasek: i 10 intrusi al Masters di fine anno in due articoli che ripercorrono la storia dei protagonisti inattesi. La prima parte va dagli albori del torneo e arriva alla fine del secolo scorso.

La storia del Masters di fine anno o ATP World Tour Finals, come viene formalmente denominato dal 2009 – anno del trasferimento alla O2 Arena – è lunga, ricca e complessa. Cambi di denominazione, di sede e di formula hanno contrassegnato il destino del torneo, riconosciuto come lo zenit della stagione in cui i migliori otto giocatori dell’anno lottano per fregiarsi del titolo di ‘Maestro’. Le mutazioni di questa creatura non hanno però intaccato l’albo d’oro, specchio fedele della storia del tennis, con soli tre successi di campioni orfani di Slam (Corretja nel ’98, Nalbandian nel 2005 e Davydenko nel 2009).

Se l’albo d’oro non mente, il campo di partecipazione negli anni ha riservato qualche sorpresa: degli imbucati alla festa, che per svariati motivi hanno potuto fregiarsi di una presenza al torneo che dovrebbe premiare solo l’elite del tennis mondiale.

1. 1971 – Pierre Barthes
Non proprio un Masters di fine anno, diciamo un suo progenitore. Chiamato Pepsi Cola Masters e giocatosi sui campi in cemento indoor del Stade Pierre de Coubertin di Parigi, comprendeva i sette tennisti che avevano accumulato più punti giocando nei tornei del circuito Grand Prix, antenato dell’Atp. Girone all’italiana, tutti contro tutti e trofeo al giocatore che vince più partite. Di fianco a campioni del calibro di Ilie Nastase, Stan Smith, Jan Kodes e Zelijko Franulovic fanno la loro comparsa Cliff Richey, Clark Graebner e udite, udite, Pierre Barthes. Certo, gli americani Richey e Graebner non saranno stati dei fenomeni ma possono vantare una dignitosissima carriera (pure una finale agli Us Open ’67 per Graebner), mentre il francese Pierre Barthes resta un carneade miracolato dai regolamenti dell’epoca. Best ranking 57, 0 tornei vinti e qualche foto sbiadita sul web raccontano di una carriera anonima. Si qualificò accumulando punti nei tornei americani e al Masters non fece neanche una pessima figura, vincendo 3 partite su 6.

BILANCIO: 3 vittorie, 3 sconfitte
VINCITORE DEL TORNEO: Ilie Nastase.

2. 1974 – Onny Parun
Neozelandese, piccolo, scattante e portabandiera del serve and volley dell’epoca, Onny Parun si qualificò al torneo del 1974, che guarda caso si giocava a Melbourne sull’erba. Dignitoso ma non certo straordinario il suo palmares: una finale agli Australian Open del ’73 (ma all’epoca erano poco più che un campionato nazionale) e cinque titoli minori (Giacarta, Bombay, due volte Auckland e Johannesburg). Inserito nel girone con Borg, Newcombe e Vilas, rimediò tre sconfitte, vendendo cara la pelle (8-10 al terzo con lo svedese e 9-11 con l’argentino), ma non andò mai più vicino alla qualificazione, raggiungendo come suo best ranking il numero 19. Curiosità: nel ’75 gioco il primo match notturno nella storia degli Us Open sconfiggendo Stan Smith.

BILANCIO: 0 vittorie, 3 sconfitte, eliminato al Round Robin
VINCITORE DEL TORNEO: Guillermo Vilas

3. 1978 – Corrado Barazzutti
Il 1978 fu l’anno di grazia per il Corrado nazionale. Colse una serie di eccellenti risultati il cui apice fu la semifinale colta al Roland Garros, in cui Borg gli concesse il lusso di vincere un game in tre set. Nessun torneo vinto ma tanti ottimi piazzamenti, gli valsero il settimo posto in classifica e l’agognata qualificazione al Masters di fine anno, per l’occasione ribattezzato Colgate-Palmolive Masters e giocatosi al Madison Square Garden di New York. Edizione quasi ‘All American’, con sei statunitensi su otto (McEnroe, Ashe, Connors, Solomon, Dibbs e Gottfried), con Barazzutti e l’esperto gentleman messicano Ramirez a fare da intrusi. Il friulano, inserito nel gruppo B (decisamente più debole), raccolse tre sconfitte con Dibbs, Gottfried e Ramirez. Barazzutti riuscirà a rimanere a buoni livelli per un altro paio di anni, ma il suo declino all’inizio degli anni ’80 sarà legato a doppio filo con quello dei suoi connazionali e con quello del tennis azzurro.

BILANCIO: 0 vittorie, 3 sconfitte, eliminato al Round Robin
VINCITORE DEL TORNEO: John McEnroe 1980

4. 1981 – Gene Mayer
Vale la pena inserirlo in questa classifica solo per citare uno degli episodi più celebri del tennis di quegli anni. Gennaio ’81, è il Volvo Masters, è il Madison Square Garden. Nel Gruppo A, il talentuoso quadrumane Gene Mayer ha sorprendentemente vinto tutte le partite del girone, contro McEnroe, Clerc e Borg (classificatosi secondo). Nell’ultima partita del Gruppo B, Lendl e Connors si giocano il primo posto avendo battuto entrambi Vilas e Solomon. Il primo set, combattuto, va in tasca a Connors grazie ad un tie-break, mentre nel secondo, Jimbo ha vita facile, 6-1. Troppo facile. Lendl ha appositamente ‘sciolto’, per arrivare secondo nel girone, evitare Borg ed affrontare Mayer in semifinale. Almeno, così sostiene Connors, che durante il match continua a scuotere la testa in segno di disapprovazione. Jimmy, nel post partita rincara la dose e appella Lendl con il peggiore degli insulti per uno come lui: ‘chicken’. Pollo, codardo. ‘È una tristezza che un giovane giocatore si comporti in questo modo’, aggiunge il mancino di St. Louis. Lendl non fa una piega e in semifinale batte Mayer. Connors invece perde con Borg, che andrà a sconfiggere nettamene l’allora 20enne cecoslovacco in finale. E Mayer? Col suo tennis effettato e geometrico si toglierà ancora parecchie soddisfazioni: in totale 14 tornei vinti, due volte quartofinalista a Wimbledon e agli Us Open, parte integrante del team Usa vincitore della Coppa Davis nel 1982.

BILANCIO: 3 vittorie, 1 sconfitta, eliminato in semifinale
VINCITORE DEL TORNEO: Björn Borg

5. 1988 – Jakob Hlasek
In un’epoca in cui i trionfi di Federer e Wawrinka erano ancora lontani, la Svizzera scopriva il tennis grazie ad un cecoslovacco. Nato a Praga, ma trasferitosi nella Confederazione Elvetica a quattro anni, Hlasek era una promessa dell’hockey su ghiaccio. Un giorno si rompe un piede e un braccio e il papà gli consiglia di scegliere uno sport meno cruento. Jakob abbandona la mazza per imbracciare la racchetta e i risultati sono ottimi. Diventa professionista, scala la classifica, fino a stabilizzarsi fra la trentesima e ventesima posizione del ranking. Almeno fino all’autunno del 1988, quando innesca improvvisamente e inspiegabilmente un’altra marcia. Finale a Basilea (battuto da Edberg), semifinale a Tolosa (battuto da Connors), semifinale a Parigi Bercy (battuto da Mansdorf), vittoria al torneo di Wembley (il primo in carriera, battuto Svensson in finale), vittoria al torneo di Johannesburg (battuto il padrone di casa Christo Van Rensburg) e finale a Bruxelles (battuto da Leconte). Numero 27 il 3 ottobre, numero 8 il 21 novembre: qualificato al Nabisco Masters 1988. Hlasek, fisico statuario e sguardo da generale della Wehrmacht, sbarca a New York e come se tutto fosse normale, prosegue nel suo momento d’oro. Batte Tim Mayotte, batte Ivan Lendl e batte Andre Agassi. La favola finisce in semifinale, quando cede a Becker in due tie-break. La finale sarà leggendaria, con il tedesco che avrà la meglio su Lendl 7-6 al quinto dopo un match point passato alla storia. Hlasek non riuscirà mai più a giocare al livello dell’autunno 1988, anche se vincerà altri tre tornei e in doppio sarà in grado di vincere il Roland Garros ’92 in coppia con Marc Rosset.

BILANCIO: 3 vittorie, 1 sconfitta, eliminato in semifinale
VINCITORE DEL TORNEO: Boris Becker

6. 1994 – Alberto Berasategui
Celebre per il suo diritto impossibile, Alberto Berasategui è stato il manifesto del tennis spagnolo anni ’90. Remate da fondocampo, rotazioni esasperate, corsa, garra, sudore. Il basco inizia il 1994 da numero 36 del mondo. Come da prassi non combina niente fino al fiorire della stagione sul mattone tritato: vince a Nizza, finale a Bologna e soprattutto finale al Bois de Boulogne, dopo aver battuto gente del calibro di Ferreira, Pioline, Kafelnikov, Ivanisevic e Larsson. L’atto finale lo vince Sergi Bruguera in quattro set, ma Berasategui non accusa il colpo, anzi si esalta, perché capisce che sì, può anche qualificarsi per il Masters. Allora si mette a giocare, sempre e ovunque, qualunque torneo, di qualsiasi livello, basta che sia sulla terra. Firenze, Gstaad, Stoccarda, Hilversum, San Marino, Graz, Umago, Bucarest, Barcellona, Palermo, Atene, Ostrava, Santiago del Cile, Montevideo, Buenos Aires. E sì, alla fine Alberto ce la fa. Qualificato per gli ATP Tour World Championships 1994 di Francoforte. Berasategui arriva in Germania esausto e sul veloce indoor si sente a suo agio come un cammello al Polo Nord. Due game con Agassi, cinque con Bruguera, uno con Chang. Il resto della carriera del basco sarà un lento e inesorabile declino, che si chiuderà al tramonto dell’era degli specialisti.

BILANCIO: 0 vittorie, tre sconfitte, eliminato al Round Robin VINCITORE DEL TORNEO: Pete Sampras

7. 1999 – Nicolas Lapentti – Nicolas Kiefer
Federer ancora adolescente, Nadal ancora bimbo, Sampras in fase calante, Agassi ondivago. La fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000 fu un periodo per il tennis maschile decisamente particolare. Ad eccezione di Pete e Andre, sul circuito impazzavano tanti ottimi giocatori, alcuni campioni, ma nessun fenomeno che facesse della continuità ad alto livello la sua forza, anche a causa dell’imperante differenziazione delle superfici (bei tempi). Furono in molti a riuscire a ritagliarsi un quarto d’ora di gloria in quel periodo: anche i Nicolas, Lapentti e Kiefer che riuscirono a qualificarsi al Master del ’99.
Al contrario di Hlasek e Berasategui, la corsa di Lapentti partì molto presto, precisamente agli Australian Open. Grazie ad un tabellone non proprio impossibile e costellato di svedesi (T. Johansson, Norman, Tillstrom, Ilie, Kucera), arrivò in semifinale, persa poi con un altro svedese, Thomas Enqvist. L’ecuadoriano, meglio sulla terra ma ostico anche sul veloce, diede continuità centrando buoni risultati lungo tutto il corso della stagione, anche se la spallata decisiva arrivò sul finale con la vittoria al torneo di Indianapolis, la finale a Lione e la semifinale a Parigi Bercy.
Kiefer invece non combinò molto negli Slam, ma vinse tre tornei e piazzò punti pesanti a Miami, Montreal e Basilea. I Nicolas beffarono sul filo di lana giocatori del calibro Rios, Kraijcek, Henman e Pioline guadagnandosi un piccolo posto d’onore nella storia. Lapentti perse tutti i match contro Agassi, Kuerten e Sampras, mentre Kiefer – sicuramente più adatto alla superficie – si guadagnò la seconda posizione nel girone alle spalle di Todd Martin per perdere contro Sampras in semifinale. L’austriaco toccherà il suo best ranking (4) nel 2000, ma anche a causa di molti infortuni, terminerà la carriera con appena 6 tornei in bacheca e una sola finale prestigiosa (Toronto 2008, persa con Nadal).

BILANCIO: Lapentti 0 vittorie, 3 sconfitte, eliminato al Round Robin; Kiefer 2 vittorie, 2 sconfitte, eliminato in semifinale
VINCITORE DEL TORNEO: Pete Sampras

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