WTA Madrid – Una Cibulkova da sogno travolge Chirico, è lei la prima finalista

TENNIS – MADRID – Di DIEGO BARBIANI. Bastano 59 minuti a Dominika Cibulkova per guadagnarsi un posto per la finale del Premier Mandatory di Madrid: la slovacca si impone 6-1 6-1 sulla sorpresa del torneo Louisa Chirico.

Per capire a pieno cosa stia realizzando la slovacca ex top-10, bisogna partire dall’inizio del 2014, il suo anno più bello, da un lato, ma anche il più difficile.

Dopo la finale dell’Australian Open, il punto fin qui più importante della sua carriera, aveva tirato il proprio fisico giocando tantissimo tra Oceania, Arabia, Nord America e sud-est asiatico. I risultati però c’erano, perché dopo l’Australia arrivò il quarto titolo della carriera, ad Acapulco, e fu tra le protagoniste sia ad Indian Wells che a Miami quando, come avvenuto anche a Melbourne, fu fermata da Na Li.

In Florida, con la semifinale, ottenne la certezza matematica dell’ingresso in top-10, traguardo che era diventato quasi un’ossessione da quando lo aveva solo sfiorato in due occasioni: nel 2009, dopo la semifinale a Parigi, e nel 2012, quando Samantha Stosur la fermò ai quarti di finale ancora al Roland Garros. Lei però, dal carattere così energico e spesso difficile da accettare in campo, non si era mai arresa. Ci teneva anche per una questione di rivalsa, perché quando da piccola, nella cittadina natale di Piestany a pochi chilometri da Bratislava, cominciava a giocare a tennis, erano diversi quelli che le dicevano di smettere, di lasciar perdere perché con un fisico del genere e con una statura così ridotta non avrebbe mai sfondato.

Non si è arresa, forgiando anzi negli anni questo spirito combattivo che nella settimana di Madrid le ha permesso di compiere quattro imprese dall’esordio contro Agnieszka Radwanska fino al match durissimo contro Sorana Cirstea nei quarti di finale. Quanto accaduto in questi sei giorni, però, è forse il capitolo finale di una rincorsa cominciata due anni fa. In Malesia, sulla carta, avrebbe dovuto vincere a mani basse ma perse una finale rocambolesca da Donna Vekic, in quello che rimane l’unico titolo della carriera della giovane croata.

C’era un problema: una malformazione ossea alla gamba sinistra, nella zona del tallone. Negli ultimi tempi il dolore si era fatto sentire con molta più frequenza e già a Doha, due mesi prima, dovette ritirarsi alla fine del primo set contro Alysa Kleybanova. Di ritorno da Kuala Lumpur diede forfait a Stoccarda, a fine stagione, ancora una volta, a Pechino, ed infine ad Anversa, nelle prime settimane del 2015, le lacrime al momento dell’uscita dal campo dopo il match concluso, ma con evidente problemi, contro Andrea Petkovic.

Non ha mai preso pause. Come poteva, una come lei? Una che non si ferma mai, che corre e rincorre, che prende ogni punto come se fosse il più importante della partita e lo vuole vincere a tutti i costi o ci rimane malissimo.

In quel periodo, da Madrid, raccolse però veramente poco. I problemi fisici, uniti alla pressione dello ‘status’ di top-10 verso cui sentiva di avere l’obbligo di farlo valere ogni volta, l’avevano caricata di pressioni enormi. In più, i sorteggi erano per lei i peggiori: Samantha Stosur al primo turno di Madrid, Camila Giorgi all’esordio a Roma, Stosur ancora al terzo turno a Parigi, Yaroslava Shvedova al primo match sull’erba (superficie che ha sempre dichiarato essere l’ultima delle quattro, al contrario della kazaka che a Wimbledon per poco non eliminava Serena Williams), Lucie Safarova al terzo turno a Wimbledon, Garbine Muguruza all’esordio a Stanford. Tutte partite che potrebbero rappresentare dei quarti di finale.

Per quanto riguardava invece la malformazione ossea, cese anche ad un compromesso: l’operazione si sarebbe fatta, ma solo dopo lo US Open 2015 così da disputare tutta la stagione ed unire la riabilitazione alla preparazione per il 2016. Dopo Melbourne, però, la situazione peggiorò in maniera irreversibile e fu costretta ad inizio marzo ad operarsi.

Ha chiesto aiuto ad un mental coach, perché in classifica era scivolata ai oltre le prime 50 del mondo come non le capitava da almeno cinque anni e gli inizi furono tremendi. Fino a New Haven aveva vinto solo tre incontri, ma in Connecticut giocò tre partite fantastiche contro Tsvetana Pironkova, Kristina Mladenovic e Lucie Safarova dove si sentì di nuovo competitiva e piano piano ha rimesso a posto i tasselli del puzzle.

Nel 2016 è tra le giocatrici più competitive: già 4 semifinali e 3 finali (compresa questa di Madrid), con un atteggiamento, in particolare, che mostra i primi risultati il processo di maturazione che sta portando avanti con l’esperienza: prima era sempre una giocatrice estremamente fastidiosa, combattente mai doma, capace di giocare partite incredili, ma con tantissime pause e difficoltà a trovare una sua dimensione. Ambizioni da top player alternate alle tante chance buttate prima in un torneo e poi nell’altro che la fermavano ai margini delle prime 20. Ora, a 27 anni (oggi, tra l’altro), sta trovando piena conoscenza di quello che è il suo potenziale. Non è più una giovane ragazza che vuole tirare solo vincenti rischiando di compromettere risultati importanti, ora per batterla serve la giocatrice quel giorno più in forma, più brava di lei. L’errore banale può sempre commetterlo, le difficoltà a rete sono sempre presenti, ma ora sa come poter rimediare e quali punti forza sfruttare. In questa settimana si è mostrata un demonio per tutte quante, a cominciare dalla n.2 del mondo e finendo con la bravissima Louisa Chirico, a cui oggi, nonostante il pesante 6-1 6-1, ha comunque riservato diversi complimenti alla stretta di mano per come ha condotto tutta la settimana.

E’ la finale più importante dall’Australian Open 2014, quella che con un successo potrebbe chiudere tutto il periodo cominciato proprio a Madrid due anni fa. Soprattutto, è un sollievo per tutte le più forti del ranking sapere che dal prossimo Slam Dominika sarà di nuovo compresa tra le teste di serie. E forse questa, con la maturità di una giocatrice che viaggia nel circuito dal 2006, è comunque un motivo di vanto enorme, una delle vittorie più belle.

 

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