di Salvatore Sodano C’era un ragazzo che come me… amava i Beatles il Rock&Roll… e il tennis? Forse, ma scavando nel fotocatalogo dei vip, a disposizione nella banca dati, di Morandi tennista non c’è traccia. Allora? Cosa c’entra Morandi con il tennis, a parte le circostanze che spesso lo hanno visto esibirsi negli stadi del […]
TENNIS – US OPEN – DI LORENZO DI CAPRIO
Sono trascorsi da un pezzo i giorni in cui Donald Young veniva raccontato dagli addetti ai lavori come il futuro indiscusso del tennis maschile a stelle e strisce. Il mancino di Atlanta ha già assaporato le vette e poi conosciuto il baratro di questo sport, ma il quarto turno – raggiunto anche grazie a due splendide rimonte – in questi US Open gli permette, a 26 anni, di poter finalmente tornare a sognare un posto tra i grandi.
“Avrei sicuramente perso questo match qualche tempo fa, mentre combattevo quelle pressioni che non riuscivo a reggere”, ha detto Young dopo la vittoria contro Gilles Simon al primo turno: “qualcosa è cambiato, io sono cambiato e stavolta mi sento pronto”, sembra voglia urlare l’eterna promessa americana.
“Una stella pronta a brillare”, recita il titolo del magazine Newsweek nel dicembre del 2004: d’altronde è davvero facile cadere nella tentazione di crearsi grandi aspettative, Young – figlio di tennisti – dà l’impressione di essere un ragazzino che ha ben in testa i suoi obiettivi ed i risultati non lo tradiscono. Appena quindicenne conquista gli Australian Open Junior, poi bissa in doppio allo US Open facendo coppia con Alex Clayton. A fine 2005, Donald diventa il più giovane numero uno del ranking junior: negli States sono convinti di aver trovato l’erede di Andy Roddick, John McEnroe – che rimane estasiato quando lo vede giocare per la prima volta a dieci anni – lo definisce un “fenomeno”.
Ma la strada è ancora lunga, anzi lunghissima: la USTA lo getta nel circuito ATP a suon di wild card e la cosa non gli fa bene, dai “grandi” arrivano solo batoste ed il 2006 finisce per deludere le attese. Il New York Times non perde tempo e gli dedica un articolo intitolato “La fine del prodigio”, epitaffio sportivo che non ammette repliche.
Non c’è da disperarsi, comunque, perché le affermazioni apodittiche – specie su di un sedicenne – dimostrano ancora una volta di contare davvero poco: il 2007 regala a Young il titolo junior in quel di Wimbledon, ma soprattutto la vittoria nel Challenger di Aptos ed un sorprendente terzo turno allo US Open grazie alle vittorie su Guccione e – per ritiro – Gasquet. Arriva una convocazione in Coppa Davis e poi un’altra finale nel circuito Challenger, stavolta a Champaign: il diciottenne Donald Young è top 100.
Ora le voci diventano assordanti, insostenibili: il peso di dover confermare tutti i buoni propositi appena maggiorenne schiaccia Young e per due anni arrivano pochissime vittorie. L’americano porta a casa giusto un paio di Challenger, ma la classifica piange e a fine 2009 Donald naviga intorno alla 200esima posizione. Il tennis si dimentica del suo prodigio, la federazione americana gli volta le spalle e smette di aiutarlo.
Arriva il 2011 e cambia tutto, perché Young ritrova il suo tennis e torna a mettere in fila buoni risultati: ad Indian Wells, il ragazzo di Atlanta parte dalle qualificazioni e raggiunge il terzo turno battendo Andy Murray, poi fa quarto turno allo US Open e finale a Bangkok, la prima della sua carriera nel circuito ATP. Chiude l’anno alla 39esima posizione del ranking mondiale.
Sembra essere finalmente arrivata la sua ora, ma alla migliore stagione della sua carriera segue un disastroso 2012: votato sul sito dell’ATP il peggior giocatore dell’anno, Young si rende protagonista di ben 17 sconfitte consecutive al primo turno. Si tratta della terza serie più negativa di tutti i tempi, dopo quelle collezionate da Golubev (18) e Spadea (21). A fine stagione il bilancio è di 5 vittorie e 24 sconfitte. Poi due anni di lavoro all’ombra di tutti e senza pressioni: Donald Young, archiviata la pessima stagione, torna nel circuito Challenger e con questi torna a costruirsi una buona classifica. La federazione americana lo torna a sostenere e gli appassionati credono in lui: il 2014 lo proietta nei 60 del mondo, la giostra di Donald è ancora accesa. Siamo ai giorni nostri: il 2015 ha regalato agli appassionati un giocatore nuovo, aggressivo da fondo campo e lucido sotto rete. Alla finale di Derlay Beach in quel di febbraio, Young ha fatto seguire buoni risultati: prima di questi US Open, aveva addirittura battuto Tomas Berdych a Montreal.
La realtà dei fatti suggerisce che Donald Young non sarà mai ciò che prometteva di essere dieci anni fa, ma nemmeno quel giocatore che non ha vinto una partita per quasi un anno. L’eterna promessa vuole sorprendere, trovare continuità dopo una vita passata a cavallo tra l’Inferno e il Paradiso tennistico: in questo senso, le rimonte da 2-0 sotto contro Simon e Troicki sono la spia di un giocatore nuovo, pronto a competere in quel mondo che aveva conosciuto troppo giovane e inesperto.