La seconda chance di Timea Bacsinszky: da barista a campionessa di Acapulco

TENNIS – Di Diego Barbiani

Dopo sei anni, Timea Bacsinszky ha interrotto il digiuno di vittorie ottenendo ad Acapulco il secondo titolo Wta della sua carriera dopo quello vinto in Lussemburgo nel 2009. Un anno e mezzo fa sembrava aver chiuso con il tennis, non un divertimento ma qualcosa da cui fuggire.

Aveva smesso con il professionismo, per qualche tempo, percorrendo un viaggio alla ricerca di altri stimoli. Alla fine, però, il tennis è tornato parte essenziale della sua vita ed ha sfruttato al massimo la seconda occasione avuta, arrivando là dove non si era mai spinta: ad un solo gradino dalle prime 30 del mondo.

Non ha mai avuto interesse da giovane a diventare una campionessa. Soprattutto agli inizi, voleva prendere il tennis come un passatempo. Non era in cerca di fama e gloria, eppure vinceva. In Svizzera, però, le gesta di Martina Hingis e Patty Schnyder erano ancora negli occhi di tutti e fin dall’età di undici anni le sono stati però rivolti i paragoni più scomodi: «Dicevano fossi come Martina Hingis. Dominavo le avversarie proprio come succedeva a lei. Il talento è stata la mia condanna. Avrei preferito fare altro». Ha dovuto su le maniche e farsi forza fin dai primissimi anni di carriera. Ben presto però ha cominciato ad odiare il tennis e tutto quanto la circondava. «Mi sentivo privata di me stessa. E’ difficile da spiegarlo ma sentivo che piano piano diventavo simile ad un automa: entravo in campo, giocavo, poi le conferenze stampa, gli sponsor… Avevo quindici anni, eppure avevo già perso quasi tutto l’interesse per questo sport, non mi piaceva più vivere così».

Nonostante il titolo in Lussemburgo nel 2009, dentro di sé quella sensazione di infelicità cresceva e l’infortunio al piede che nel 2011 ha dato il via al suo lungo periodo di crisi fu considerato un salvagente per tirarla fuori da quella situazione. «Volete la verità? Sì, è stata la mia salvezza. Ben presto non avevo più gli occhi di tutti addosso e mi sentivo lentamente tornata a vivere una vita normale». I risultati raggiunti fino a quel momento l’avevano spinta ad un massimo di n.37 del mondo. Una buona carriera, una crescita sensibile e costante, forse quello che lei sperava agli inizi ma che a causa delle immediate responsabilità gravate sulle sue spalle non ha mai potuto vivere.

Nei due anni che seguirono ha vissuto ad un passo dalla depressione. Nonostante a dicembre di quell’anno vinse con facilità i campionati nazionali svizzeri fu costretta ad un nuovo stop per aver accelerato i tempi di recupero dal precedente infortunio e solo nel marzo del 2012 capì di doversi nuovamente operare alla spalla. Quell’anno non fu molto negativo, ma lei continuava a perdere ogni minimo interesse. «Mi sentivo triste, molto triste. Non sapevo il motivo e questo mi stava portando in una forte crisi personale. Ero arrivata a chiedermi cosa volessi realmente fare della mia vita».

Lontano da tutti, in silenzio, ha deciso di ricominciare dalla sua grande passione: la ristorazione. Ha trovato asilo a Villars-sur-Ollon, una lussuosa cittadina svizzera famosa per essere un polo di villeggiatura sia invernale che estiva non lontana da Losanna, la sua città natale. Qui Timea ha iniziato a fare la barista presso lo Chalet RoyAlp Hotel & Spa, senza però rivelare nulla della sua storia. «E’ stata una scelta mia, proprio non mi interessava far conoscere agli altri il mio passato, di quanto fossi nota in Svizzera e di quanto avessi guadagnato».

Nel maggio del 2013, però, avvenne qualcosa che le cambiò la vita. Ricevette una mail: «Erano le 8 del mattino e lessi che mi avevano accettato per partecipare alle qualificazioni del Roland Garros. Mi sembrava di non riuscire più a respirare. Avevo preso tutte le mie cose e mi sono fiondata giù dalle scale urlando di gioia. Dissi a mia madre che volevo davvero giocare a tennis, che sarei andata a Parigi anche da sola in macchina (come poi è successo, ndr) e senza un giorno di allenamento, vincere o perdere non avrebbe avuto differenza». Un entusiasmo esagerato, che Timea ha spiegato così: «Per la prima volta, nella mia vita, ero io che decidevo cosa fare per me stessa. Fu un giorno meraviglioso». E’ ricominciata così la sua avventura, tra mille incertezze ma senza l’ansia dei primi anni. A quel punto in tanti l’avevano abbandonata ed in Svizzera il clamore mediatico attorno a lei si era affievolito. Era quello che chiedeva Timea fin dall’inizio e con l’aiuto di Dimitri Zavialoff, l’uomo che ha forgiato tennisticamente Stan Wawrinka fra gli otto ed i diciassette anni, non ha impiegato molto tempo.

Dopo la sfida a Sloane Stephens al Wta del Lussemburgo di un anno fa aveva rivelato: «Voglio tornare dov’ero. Sarà difficile, forse sarà lunga, ma ce la farò. Me lo sento. E sarà ancora più bello riuscirci dopo essere ripartita da zero». Poco meno di un anno dopo eccola battere Maria Sharapova, poi Petra Kvitova, ora vincere il secondo torneo della sua carriera. Lo strano destino di chi è nata per giocare a tennis ma non ha mai voluto saperne di diventare una campionessa per non vedersi snaturare l’anima dalla fama e dalla gloria e che ora sta scoprendo la gioia di stare in campo sia a Wuhan che a Kreuzlingen, sede di un torneo Itf in cui prese parte lo scorso Maggio. «Sono felice, per la prima volta nella mia vita è tutto così bello» continuava a ripetere durante le interviste in quella settimana, circondata da qualche decina di appassionati.

«Il preciso momento in cui i tuoi sentimenti sono confusi e non sai se ridere o piangere… Ho fatto entrambe le cose ed ho goduto» ha scritto invece su Twitter poco dopo l’exploit contro Sharapova, «Questa immagine mostra le emozioni vere e pure, amo il mio lavoro» è il messaggio per celebrare il successo in Messico. Timea ha imparato a vivere ogni attimo nel modo migliore, è diventata padrona della propria vita.

 

 

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