TENNIS – Di Diego Barbiani
Quando sulla scena mondiale è apparso Novak Djokovic e poi, subito a ruota, Ana Ivanovic e Jelena Jankovic, la Serbia ancora non aveva tanta esperienza in materia tennistica se non per qualche atleta figlio soprattutto dell’ex Jugoslavia. Poi, d’incanto, è avvenuto il “miracolo di Belgrado”, con quattro n.1 del mondo nel giro di pochissimi anni tutti originari della capitale
Nel 2011 quando Djokovic vinse il primo titolo di Wimbledon la gente si ritrovò per strada, nelle vie di Belgrado, a festeggiare tutti insieme con canti, caroselli e festeggiamenti. Da quegli anni il momento il movimento tennistico ha avuto un’impennata clamorosa e si è cominciato a lavorare anche in prospettiva per evitare che quanto di straordinario avuto non venga dimenticato. Nel 2011 Ivana Jorovic aveva appena quattordici anni ed in quell’anno era protagonista della cavalcata trionfale della nazionale femminile serba under-14 verso il titolo di campionesse del mondo, evento ripetutosi anche pochi mesi fa, ad agosto, con Jorovic assieme a Nina Stojanovic e Jelena Lukic. «Qual è il nostro segreto? Non smettiamo mai di credere nel nostro talento. Siamo un team stupendo e sarebbe stupendo scendere in campo, un giorno, tutte insieme con la maglia della Serbia in Fed Cup per dare ancora più gloria al nostro paese». Accompagnata da un patriottismo piuttosto diffuso in tutto il paese, il suo 2014 da favola non si è concentrato in quella settimana a Granville, nella bassa Normandia, perché in giugno aveva ottenuto la sua prima finale Slam in carriera circa 400 chilometri più ad est, a Parigi, in quello che dovrebbe essere tra i quattro il Major che meno le va a genio. «Mi piace giocare d’attacco, esprimo il meglio del mio tennis sui campi veloci», eppure, da n.1 del mondo a livello junior Ivana ha raggiunto questo traguardo sulla terra rossa e si è arresa solo alla russa Kasatkina in tre set. Durante le Olimpiadi giovanili di Nanjing di metà agosto era l’atleta serba più attesa, a cui venne assegnato l’onore di sfilare come portabandiera. «Mi tremavano le mani, ero così emozionata che non riuscivo quasi a respirare, volevo piangere dalla gioia».
In Serbia è balzata prepotentemente alla cronaca perché la scorsa settimana ha fatto il suo esordio in Fed Cup. E’ stato un inizio da sogno, forse meglio di quello che anche lei si aspettasse. In un team falcidiato dalle assenze, privo di Ana Ivanovic, Jelena Jankovic e Bojana Jovanovski, non rimanevano che lei e Aleksandra Krunic come singolariste più forti da schierare. Quest ultima aveva il grado di n.1 della squadra ed alla vigilia aveva dichiarato: «Sono qui per riportare la Serbia nel World Group». Alla fine ce l’ha fatta, con una vittoria piuttosto agevole su Donna Vekic nel secondo incontro della serie tra Serbia e Croazia valevole per il play-off del gruppo 1 Europa/Africa, ma la vera protagonista è stata lei, la sedicenne di Cacak, a cui la stessa Aleksandra ha rivolto complimenti a non finire dal primo giorno per l’atteggiamento iavuto. «Ero tesa – ha detto Jorovic al termine del primo match vinto 6-3 6-2 contro Barbara Haas, austriaca– era la mia prima apparizione in Fed Cup e ci tenevo tantissimo. E’ tutto completamente diverso rispetto alla Fed Cup junior: qui nel tuo angolo ci sono una decina di persone che ti incoraggiano, ti applaudono, ti tirano su di morale se stai perdendo o ti esaltano se stai vincendo». Il giorno dopo, scioltasi dalla tensione dell’esordio, ha liquidato 6-1 6-0 l’ungherese Dalma Galfi ma il vero capolavoro è arrivato nel playoff contro la Croazia dove ha superato Ana Konjuh 6-3 2-6 7-5 in un match al cardiopalma in cui conduceva 5-2 e servizio al terzo prima di venire rimontata dalla coetanea croata e riuscire comunque a prevalere.
Il presidente della federazione tennistica serba, Toplica Spasojevic, è folgorato dal suo carattere: «Sarà la nostra campionessa del futuro. Jorovic sta mostrando la potenza del nostro settore giovanile e questa è l’unica maniera in cui lavoriamo qui in Serbia. Sta crescendo in maniera seria, con la speranza poi che in futuro possa essere lei il modello a cui si ispireranno le future generazioni». Ci credono, ci credono tantissimo anche rischiando di mettere in lei grande pressione. Anche il membro onorario della federazione, Radmilo Armeluvic, sembra ciecamente convinto. Durante la conferenza stampa a seguito della finale persa allo scorso Roland Garros junior, a Jorovic è caduto per terra il trofeo. Scherzando, Armeluvic ha segnalato: «Questo è il segnale che lei non si accontenta di arrivare seconda».
Intanto Ivana va avanti per la sua strada, ancora frequenta il liceo a Cacak ed i suoi compagni, vedendola entrare in classe accompagnata dalla mamma e dal trofeo della seconda classificata al Roland Garros, le hanno tributato un lunghissimo applauso. «Devo tutto questo a mio nonno – confessa – quando avevo sette anni fu lui ad introdurmi a questo sport ed ad allenarmi due ore al giorno per tutti i giorni fino all’età di undici anni, dopodiché mi sono trasferita a Novi Sad». Da quasi un anno è seguita da Marko Djokovic, che non è il fratello di Novak ma un semplice caso di omonimia, e si sta attrezzando a compiere il passaggio definitivo nel mondo senior dopo che in ottobre ha guadagnato il suo primo main draw ufficiale Wta in Lussemburgo. Dice di voler tentare fin da quest anno l’approdo nelle prime 100 del mondo. Sarebbe una prima piccola impresa visto che il ranking Wta al momento la segnala al n. 302 del mondo, ma a neppure diciassette anni è più che mai comprensibile non volersi porre un limite.
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