Da "rising star" a "missing star": Laura Robson ed un calvario infinito

TENNIS – Di Diego Barbiani

Persa tra le ombre di un 2014 ormai alle spalle, Laura Robson non mette piede su un campo da tennis per una partita ufficiale dal triste 6-2 6-0 rimediato da Kristen Flipkens all’ Australian Open di dodici mesi fa. Fu qualcosa di duro da accettare e tantissime furono le critiche che le caddero addosso.

Non tutti però videro che nei giorni successivi la stessa Robson girava per Melbourne Park con un tutore enorme attorno al polso sinistro. In quell’incontro fece una marea di errori con il dritto (mancina), non poteva essere realmente lei quella che si faceva spazzare via da una giocatrice sì esperta e navigata ma che ha giostrato a suo piacere ogni colpo. Per rispondere quasi alle voci incessanti, mise sui suoi profili nei vari social network una foto di lei sofferente che non riusciva ad aprire una bottiglietta d’acqua da quanto le faceva male stringere con la mano dolorante.

Passarono tre mesi. Sembrava farcela per Indian Wells, era apparso un video in cui giocava a ping-pong con un’amica. Poi si provò per Miami. Poi Marrakech. Infine l’epilogo che ha provato in tutti i modi ad evitare: l’intervento chirurgico. Deve esserle stato un colpo tremendo. Era reduce da un 2013 in cui è entrata tra le prime trenta del mondo e raggiungere gli ottavi nello Slam di casa sua, in quel ‘locus amenus’ qual è Wimbledon, dove ogni anno si reca con la famiglia per una passeggiata nel pomeriggio di Natale come un laico pellegrinaggio verso un luogo di culto. A vent’anni, le sono crollate alcune sicurezze e si è scoperta un po’ sola. Oltre che per l’allontanamento dallo sport che ama, avrà patito tantissimo la fine del rapporto intenso e profondo di amicizia che aveva instaurato nel corso degli anni con Eugenie Bouchard. Un sentimento nato da lontano, da quando le due ragazzine avevano da poco passato i dieci anni e la canadese si era spostata in Inghilterra per un torneo. Fu proprio Laura ad ospitarla in casa sua, instaurando da subito grande intesa. Col tempo diventarono praticamente inseparabili. In un’intervista Bouchard dichiarò che con tante giocatrici faceva più fatica a relazionarsi o a mettersi d’accordo per andare a mangiare fuori durante un torneo, con lei invece bastava trovare un ristorante piacevole e stabilire un orario. «Alle otto, qui».

Alla fine del 2013 Robson ha attraversato un momento difficile in cui ha cambiato tre allenatori in un mese. A metà dicembre chiese aiuto a Bouchard mentre questa si preparava per l’ottavo anno di fila nell’accademia di Nick Saviano. La canadese aveva appena concluso il rapporto con Nathalie Tauziat, ex giocatrice canadese, ed aveva appena cominciato quello con lo stesso Saviano. Laura le chiese di poter allenarsi insieme, ricevendo un secco “no”. La futura finalista di Wimbledon non solo non ha voluto che il proprio coach si dividesse nei viaggi dei vari tornei tra loro due ma, in sostanza, le avrebbe fatto capire che lei all’accademia poteva stare ma doveva comunque sceglierne uno diverso. Questa fu la prima crisi tra di loro, che probabilmente cominciarono a prendere due strade diverse, a cercarsi di meno, ad avere anche meno voglia di parlare l’una dell’altra. Poche volte, infatti, Bouchard ha rilasciato qualcosa su quanto accaduto e le sue versioni non sono mai state concordanti. Non deve essere stato emotivamente facile per Robson, inoltre, vederla giungere in semifinale in Australia e calarsi nella parte della futura reginetta mondiale, portata in trionfo dal grande capo della Wta Stacey Allaster (canadese anche lei) e ricoperta di contratti, copertine, attenzioni.

Poteva essere il suo anno, si è trasformato in un personalissimo calvario sportivo. Questa ragazza, è bene ricordarlo, vinse Wimbledon juniores a 14 anni. A quell’età vincere un torneo di quella portata è indice che i segnali per essere forte, dannatamente forte, ci sono tutti. Come disse però il suo primo coach Martijn Bok nel 2007, tende a lasciarsi trasportare troppo dall’emotività ed a perdere punti di riferimento. Poi si è rivelata a tutto il mondo quattro anni dopo con gli ottavi a New York e la vittoria su Kim Cljisters che concluse la carriera della belga. Stava crescendo, imparando dalle sconfitte e mostrando tantissimo talento.

Quella tendinite al polso creerà un distacco enorme tra la Laura Robson precedente e la Laura Robson che rientrerà. Forse si potrà parlare di una giocatrice diversa, di “seconda fase della sua carriera”. Già, ma quando? In estate eravamo certi si trattasse dell’Australian Open, lei stessa lo aveva dichiarato durante il torneo di Wimbledon vissuto nei panni di inviata per la BBC. Da qualche mese però più nulla fino a ieri sera; niente trasferta australiana, niente Australian Open. Negli ultimi giorni si è allenata all’accademia di Nick Bollettieri in Florida, ma mai con grande intensità. Come alcuni video che ha caricato sui suoi social network si tratta ancora di un ritmo blando.

Il rientro, se questa nuova fase della sua riabilitazione passerà senza problemi, dovrebbe avvenire in Febbraio nei tornei ITF, per mettere più partite nelle gambe e ritrovare le vecchie sensazioni. Per il circuito WTA, invece, non se ne parla almeno fino ad Aprile. Parlare di “luce in fondo al tunnel” è prematuro. Già lei stessa confidava di essere pronta per la trasferta oceanica, ma l’aereo per l’Australia ormai è partito. E senza di lei a bordo.  

 

Dalla stessa categoria