TENNIS – AUSTRALIAN OPEN – DI FABRIZIO FIDECARO – È Andy Murray il primo finalista degli Australian Open. Il britannico ha sconfitto Tomas Berdych con il punteggio di 67(6) 60 63 75 e contenderà il titolo al vincente della sfida tra Novak Djokovic e Stan Wawrinka.
L’esultanza sfrenata al termine del match ha dentro significati profondi. Andy Murray si è messo alle spalle l’intervento alla schiena, la lunga riabilitazione, il poco convincente rientro nel circuito, l’uscita dai top ten, il 60 61 rimediato alla O2 Arena da Federer e tanto altro. Ora il talento di Dunblane è tornato in grande stile, ed è in finale agli Australian Open. Nella semi contro Tomas Berdych, Andy ha confermato l’ottima impressione suscitata nei giorni scorsi, venendo a capo di un confronto tutt’altro che semplice, che poteva mettersi male dopo una prima frazione ceduta avendo mancato un set-point.
Il parziale d’avvio, infatti, è durato la bellezza di un’ora e diciassette minuti e ha visto il 29enne di Valasske Mezirici servire inutilmente sul 5-3 e poi, nel tie-break, annullare una palla set grazie a un attacco di diritto concluso da una facile volée alta di rovescio. Berdych si è aggiudicato tre punti di fila per l’8-6. La reazione del britannico è stata rabbiosa: da quel momento è salito decisamente in cattedra. Rapido, determinato, convincente al servizio (15 ace contro i 5 del rivale!) e reattivo alla risposta (6 break a 1): in una parola, impressionante. Il ceco ha subito l’onta di un “bagel” nel secondo set e si è tenuto poco più a galla nel terzo, perso con un break da 40-0 nel sesto game. Nel quarto c’è stata più lotta, ma quando il gioco si è fatto duro è stato Murray a brillare, strappando il servizio al ceco sul 5 pari e chiudendo a zero nel game seguente, con il suggello di un ace sul matchpoint.
Il punteggio conclusivo, 67(6) 60 63 75, ha richiamato alla mente quello della semi degli US Open 2012, che Murray fece sua per 57 62 61 76(7). Nel corso di questo torneo Berdych ha confermato i pregi e i limiti che da tempo gli vengono attribuiti. Giunto al penultimo atto senza cedere un set, ingiocabile in certi momenti (i due set iniziali contro Rafa Nadal), il ceco non è mai riuscito a portare fino in fondo il suo stato di grazia, come accaduto, per esempio, a Marin Cilic agli scorsi US Open. Quella odierna era la sua quinta semifinale Major in carriera (Roland Garros e Wimbledon 2010, US Open 2012 e Australian Open 2014 le altre) e solo una volta Tomas è riuscito a spingersi oltre, battendo Novak Djokovic a Church Road, dove peraltro fu dominato da Nadal nel match clou.
Per Andy, invece, si tratta della prima finale Major dopo l’apoteosi di Wimbledon 2013, la separazione da Ivan Lendl e l’inizio della partnership con Amelie Mauresmo. Da allora non lo avevamo più visto a questi livelli: la continuità era rimasta – aveva raggiunto una semi (al Roland Garros 2014) e quattro quarti – ma il rendimento di punta era evidentemente mancato. Complessivamente è l’ottavo match clou in uno Slam per lo scozzese, il quarto a Melbourne, dove, nei tre precedenti, ha sempre perso, nel 2010 con Roger Federer, nel 2011 e nel 2013 con Novak Djokovic, conquistando un set solo nell’ultima occasione. Stavolta potrebbe rinnovare il suo duello con il serbo, da lui sconfitto nelle finali degli US Open 2012 e di Wimbledon 2013, oppure vedersela con Stan Wawrinka.
Ciò che è sicuro fin da ora è il suo rientro tra i Fab Four, che, dunque, torneranno a essere quelli originali. Murray, infatti, è già matematicamente certo di essere, da lunedì, almeno al quarto posto del ranking mondiale: in caso di successo, scavalcherebbe anche Nadal facendo suo il terzo gradino del podio. Una magnifica risposta a chi cominciava a insinuare dei dubbi sulle sue chance di tornare a essere quello che era.
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