Il tifoso di tennis e la maledetta vita reale

 

TENNIS – Di ROSSANA CAPOBIANCO – Non è certo semplice per un appassionato del nostro sport conciliare la propria vita con l’affollata e svariata programmazione tennistica. Un racconto semiserio delle peripezie a cui si va incontro e una richiesta: quali sono state le più grandi pazzie che avete fatto per il tennis? Scrivetelo nei commenti sotto al pezzo!

 

 

Senti suonare dei clacson per strada, inizi ad imprecare. Chi osa suonare così all’alba, pensi? Sei ancora tra le braccia di Morfeo e tra un sogno e un incubo, una percezione rarefatta del luogo e del tempo in cui ti trovi, sai di aver ragione. Non puoi non aver ragione.
Per confermare a te stesso di averla, guardi il cellulare che tieni sul comodino, in barba a tutti quei salutisti che puntualmente ti ricordano di quanto sia pericoloso: necessiti della tua finestra sul mondo, per quanto sia pericolosa.

Mezzogiorno? Com’è possibile? Che giorno è? Per fortuna è sabato, ma per te è solo il primo sabato dell’ultimo Slam stagionale. È vitale scandire bene il tempo secondo necessità e priorità. È mezzogiorno, tardi per il mondo, troppo presto per te. In fondo, sei crollato alle sei davanti all’ennesimo scambio infinito tra Simon e Monfils.
Ma perché stavo guardando Simon-Monfils? Le dipendenze non hanno mai chiare spiegazioni. Ci sono e basta, tu obbedisci. A proposito, ma com’è finita? Apri il livescore, vedi. Visto che lo smartphone serve ? Non è ancora finita! Record, cinque ore di partita. Accendi la tv, i commentatori arrancano.
Sarà pure sabato ma il tuo cane ti guarda storto, sai, vorrebbe andare a fare un giro, espletare i suoi bisogni, vivere. Tu dipenderai anche dal tennis, lui dipende dalla tua pigrizia in questo momento. E ti alzi, cercando di evitare lo specchio che non lascia scampo: hai due occhiaie da competizione e ti dici, intravedendole e facendo finta di niente, che stasera andrai a letto molto prima, anche se ci fosse Federer.

Mentre sei indeciso se far colazione o pranzare, ti ricordi di quella volta in cui, per guardare Federer giocare contro Davydenko a Melbourne un quarto di finale hai puntato la sveglia alle 4, ti sei svegliato di soprassalto e per tre ore sia tu che Roger che Davydenko non avete capito un tubo di quello che stava accadendo. Alle 6,45 Federer chiude un match a dir poco cervellotico, vai in bagno, fai una doccia e corri a prendere il treno che, nel bel mezzo di una mattinata gelida di Gennaio in Brianza, ti porterà all’Università: quel giorno tu hai l’esame orale di Diritto dell’Unione Europea. Che in questo momento non hai nemmeno idea di cosa sia. Bevi tre caffè: uno a casa, uno al bar e l’ultimo, disperato, dalla macchinetta vicino l’aula in facoltà. Arrivi davanti al Prof dopo aver rivisto qualcosa tra il ricordo di un dritto lungolinea e di uno smash mancato e biascichi due leggi, ma ce la fai. 25. Dai, è andata bene! Ho fatto tutto, per fortuna ci riesco ancora, sono giovane.
Qualche anno più tardi sarà più difficile: dall’ufficio tenti di aprire uno streaming, togliendo l’audio e ponendo ai lati dello schermo del computer dei manuali enormi per bloccare la visione altrui. Il Roland Garros ti permette di dormire ma puoi seguire poco. Hai il terrore che il tuo capo ti scopra e l’ansia ti sta divorando. In più, nel frattempo, dovresti anche lavorare. La partita non va come ti aspettavi, si complica, soffri: chiami una tua amica per parlarne o avrai un attacco di panico. La tua amica è al lavoro e non sta vedendo niente, ha perfino più paura di te. Ti sfoghi, vorresti fuggire: la partita poi si risolve come ti auguravi e finalmente puoi tornare a lavorare. E a togliere quei finti manuali dalla scrivania.
Il vero dramma però si sfiora quando vuoi vedere del tennis dal vivo: semifinali e finali sono nel week-end ma sono più cari e vedi meno, in più magari non vedrai chi vuoi. Vuoi andare a Wimbledon per la Queue e pensi alle più drammatiche scuse possibili per chiedere due giorni così, in settimana. Maledetta domenica di mezzo e la tradizione di quei vecchi bacucchi di Wimbledon. Che magia Wimbledon, però. Ci devo andare, chi se ne frega di dormire al gelo in mezzo all’umidità dell’inesistente estate britannica, alzarsi alle cinque da un sacco a pelo, sciacquarsi in un bagno pubblico in mezzo ad altre mille persone e mettersi in marcia per comprare un biglietto da 50 sterline. Sono sul centrale di Wimbledon. Certo sto dormendo in piedi ma sono qui. Rosicate tutti, anche tu, collega che hai storto il naso quando mi hai visto chiedere i giorni.

La vita reale è una vera condanna per gli appassionati di tennis: difficilmente i calciofili devono fare i conti col fuso orario, con le partite tutti i giorni, con quindici giorni di torneo. La società comune pare programmata attorno al calcio: sfide serali di Champions, conta solo l’Europa, i mondiali sono in estate, il campionato nel week-end.
Per un appassionato di tennis, la vita reale è solo un intralcio e un pranzo con i parenti diventa talvolta il più grande ostacolo alla tua felicità. Vorresti essere parte di quel grande baraccone che come un circo si sposta per il mondo e per questo viene retribuito; non hai l’ardire di affermarlo ma è la tua più grande aspirazione.

Finisci di pranzare con latte e biscotti, prendi il caffè e pensi che sì, forse ce la faccio a vedere Federer stanotte. D’altronde domani è domenica. Dormirò nel pomeriggio.

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