Pare si siano abituati a giocare partite memorabili, incerte; partite che nobilitano un torneo: US Open fin qui onestamente perdibili, il terzultimo giorno vedono finalmente una partita degna di cartello.
Protagonisti sono Djokovic e Wawrinka: equilibrio permesso da un numero uno del mondo combattuto tra sfiducia, apatia e orgoglio e numero due svizzero (ancora per molto?) letteralmente on fire , con un dritto che paragonandolo a quello di due anni fa ancora non ci credi e il suo magico, bellissimo rovescio agghindato a festa per l’Arthur Ashe.
Stan parte forte: nel primo set non ha nemmeno bisogno di tirare troppi vincenti, ci pensa l’avversario ad apparire addirittura imbarazzante. Emblematica, in tal senso, una volèe letteralmente lisciata senza che il nastro abbia deviato un bel niente. In men che non si dica lo svizzero si trova a servire per il set: come in Australia, pensi.
Djokovic non si desta, rovesci trattenuti, movimenti incerti, 5 doppi falli, smash telefonati: Wawrinka, di contro, si esalta. Manovra con il dritto, si apre il campo per il suo bel lungolinea. Mantiene ottime percentuali con la sua potente prima di servizio (velocità massima oggi 222 km/h). E si porta avanti di un break anche nel secondo. Come in Australia, pensi.
E lo pensi anche di più quando il serbo recupera fino a issarsi al tie-break e vincerlo diminuendo la percentuale di errori e rendendo le cose un tantino più complicate all’avversario. Le statistiche si invertono, sbaglia molto di più Stan adesso, che però non pare mollare. Non lo fa nel quarto, dove tiene botta col servizio e approfitta di un Djokovic senza il mordente e il cinismo necessari. Chiude 6-3 e allora pensi che forse non è proprio come in Australia.
Basta un piccolissimo calo di Wawrinka e tra il sole che inizia a calare Djokovic apre gli occhi e morde: 3-0, set mai in discussione, 6-3 restituito.
Il più bel game del match si gioca sull’1 pari al quindo: ben 20 minuti di tentativi e resistenza, dove finalmente non si alternano nel bel gioco, malgrado la passività del serbo sulle palle break. All’ottavo tentativo lo svizzero lo chiude, ma non è decisivo. Lo è la testardaggine di Nole che proprio non la vuole perdere anche con una prestazione a tratti scoraggiante e la precisione di Wawrinka che va a farsi benedire. Come in Australia, pensi.
Djokovic giocherà la sua quinta finale a New York (la quarta consecutiva): ne ha vinta solo una, nel suo anno migliore, il 2011. Lunedì, se come pare dovesse affrontare Nadal, le possibilità, con una prestazione del genere, sono pochissime. Ma ringrazierà il cielo dell’abolizione del SuperSaturday: dopo più di quattro ore così, domani avrebbe fatto 4 game.
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