Quale forma ha l’acqua? In verità l’acqua prende la forma che le viene data, perché si sostiene che non ne abbia davvero una tutta sua. Proprio come un liquido, incapace di acquisire una sola forma, il tennis di Jannik Sinner fluisce, si adegua a ogni foggia o situazione. Scorre inesorabile ignorando gli ostacoli e procede […]
Dal nostro inviato a New York Gianluca Atlante
New York – Un’ora e sedici minuti di pallate.Un po’ come è successo lunedì sera alla Schiavone contro Serena Williams. Sul Grand Stand, John Isner, uno dei giocatori più “caldi” del circuito, ha fatto il suo e il povero Volandri ha finito per raccogliere, come si suol dire, i cocci, in questo caso le palline. Tre zet a zero, ma con un 6/0 6/2 6/3, che è in sintensi la conferma di quanto diciamo. Non c’è stata partita, forse non ce n’era nemmeno al momento di scendere in campo, ma è il referto finale che ha finito, poi, per confermarlo.
Non eravamo illusi prima, non siamo sorpresi dopo.Le finali di Washington e Cincinnati non possono, di certo, essere paragonate a quella del challenger di San Marino. Del resto se uno è numero 17 del mondo e l’altro 101, un motivo ci sarà. E questo motivo è stato semplificato dal punteggio finale di un match che non ha avuto storia. Nel quale, lo ripetiamo, lo statunitense ha fatto il suo e Volandri ha subito. Un’ora e sedici minuti di pallate. Un’ora e sedici minuti per lasciare l’Open degli Stati Uniti, da parte di Volandri, con l’amarezza, se vogliamo, di un sorteggio non certo felice, uno dei peggiori che potesse capitare al tennista azzurro, in considerazione del momento di forma che sta attraversando Isner.
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