Al momento l’impressione generale nel tennis femminile è che poche coincidenze astrali possano fermare, nei tornei ai quali partecipa, Serena Williams. O una caviglia in subbuglio, o una giornata storta e farcita di errori come a Wimbledon contro una signorissima (ricordiamolo!) Sabine Lisicki…. O Victoria Azarenka. Alla fine, se guardiamo ai risultati degli ultimi mesi, salta all’occhio come Serena non solo abbia a volte perso (cosa diventata alquanto inusuale per lei da Parigi 2012 in poi), ma anche come abbia sofferto le pene dell’inferno, ogni qual volta dall’altra parte della rete sentiva ululare in bielorusso.
Le statistiche, prima degli US Open della passata stagione, parlavano alquanto chiaramente in favore di Serenona, con un 9-1 che lasciava pochi dubbi sulle esigue chance di Vika di contrastare la Williams ogni volta che le due si trovavano di fronte. Troppo spietata Serena al servizio, troppo più vario, per quanto sempre potente il gioco dell’americana. Se la Azarenka tirava forte, in sostanza, Serena tirava di più. Il tutto fino agli US Open appunto. Dove vinse Serena, certo, ma in un match dove la Azarenka si trovò più volte ad avere l’incontro tra le mani, salvo lasciarselo scappare sul più bello. Prima di allora i confronti erano stati quasi sempre a senso unico per la Williams: da allora in un certo senso le cose sono cambiate.
Abbiamo assistito a un altro match a senso unico a Roma dove Serena ha imperversato per all’incirca i 60 minuti in cui è durata la partita tra le due, ma al tempo stesso da quello scontro a Flushing Meadows i precedenti sono scesi a un 3-2 che molto la dice sul fastidio che Serena prova nel trovarsi di fronte la Azarenka e non una qualsiasi altra giocatrice del circuito. Come se Serena, contro di lei, non sia proprio così… serena, ecco. Che i grugniti in bielorusso abbiano più effetto di quelli in russo o nelle altre lingue del pianeta?
Il fatto è che forse Victoria, se in forma, è l’unica tennista che abbia la capacità, anche quando la più piccola delle Williams sembra in grado di poter battere anche Batman, di trovare un’alternativa, di controbattere e attaccare una giocatrice che storicamente non ama essere attaccata; l’unica tennista che, invece di subire passivamente, aggredisce, e che per mezzo della propria risposta può sovvertire un bombardamento che per tutte le altre diventa matematica certezza di demolizione quanto la somma di due pesci più altri due pesci. Del resto, proprio la risposta a un servizio come quello di Serena può essere la chiave del match contro l’americana (come ha miracolosamente fatto notare a tutti la Lisicki a Wimbledon per esempio), e non è un caso se spesso si sia sentita paragonare, in questo fondamentale, Vika a Djokovic, in base alla propria capacità di lettura del servizio ed efficacia in ribattuta.
Inutile dire che lo sgambetto nella finale di Cincinnati in una partita risoltasi al fotofinish potrebbe anche essere per l’americana un non proprio piccolo campanello d’allarme in vista di quegli US Open che lei adora più di ogni altro torneo, e dove la più pericolosa antagonista potrebbe essere proprio la bielorussa, ora che i guai fisici di inizio stagione sembrano sorpassati. Resta comunque il fatto che negli slam il computo dei confronti reciti un impietoso 3-0 pro USA, certo…
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