Là dove c’era la terra, ora c’è il cemento. Il re del rosso si è trasformato improvvisamente nel signore del blu. L’evoluzione 2013 di Nadal ha dell’incredibile. Lo spagnolo aveva sì vinto in passato in posti dove non ci si sporcava di un colore simile a quello del sangue, ma mai con questa assurda regolarità. Quest’anno il maiorchino ha centrato tre successi su tre tornei sul cemento (Indian Welles, Montreal e Cincinnati), roba che nemmeno le superversioni 2008-2010 erano riuscite a fare. Totali successi 2013: nove, fino ad ora (San Paolo, Acapulco, Barcellona, Roma, Madrid, Roland Garros, Indian Wells, Montreal e Cincinnati) con due finali perse (Vina del Mar, Montecarlo). Nadal ha mancato l’appuntamento conclusivo solo a Wimbledon, dove è stato eliminato a sorpresa al primo turno da Steve Darcis. Ecco, proprio i Championships potrebbero impedire a Rafa di realizzare quella che sarebbe una stagione perfetta, visto che agli Australian Open non ha partecipato e che agli Us Open lo spagnolo parte da assoluto favorito, visti i problemi dei vari Djokovic, Murray e Federer.
Una stagione così perfetta da far venire a chi scrive un dubbio. Si è parlato, e si continua a parlare, tanto del fenomenale 2011 di Djokovic. Una stagione che paradossalmente rischia di diventare quasi un peso per il numero uno del mondo (temiamo per lui ancora per poco), visto che dopo quei 12 mesi da favola, il serbo non si è ripetuto, pur giocando sempre a livelli altissimi e facendo cose non ottime, ma fantastiche. Adesso, quello che colpiva di Djokovic in quella stagione non sono stati tanto i risultati (tre slam, striscia di 40 e più partite senza una sconfitta), ma quanto l’aurea di imbattibilità che avvolgeva Novak prima e durante la sua discesa in campo. Quando giocavi contro di lui sapevi che se anche davi il 100%, non sarebbe comunque bastato. Era un qualcosa che anche un tifoso, un semplice appassionato, avvertiva a pelle. Per battere quel Djokovic, ci voleva semplicemente un miracolo o un suicidio tennistico personale, che in quella stagione non avvenne mai. Ci riuscì Federer al Roland Garros in quella che (personalmente, attenzione) ritengo la partita con il livello di gioco più alto mai visto, e lo svizzero ci riuscì quasi anche allo Us Open, con due match point a suo favore. Roger a parte, quell’anno Novak perse o per stanchezza o perché non gliene fregava assolutamente niente (stile Masters contro Tipsarevic). “Unstoppable”, insomma, nel vero senso della parola.
Se utilizziamo questo termine di paragone, che (secondo canoni personali) è forse quello più significativo, il 2013 di Rafael Nadal potrebbe essere veramente paragonato a quel favoloso 2011 di Djokovic. Attualmente, quando il maiorchino scende in campo, l’aura è la stessa. Un senso di imbattibilità assoluta che a quanto pare contagia anche il suo avversario, visto che quando ha l’occasione buona per batterlo trova sempre il modo di mandare tutto al diavolo (merito anche di Rafa, ci mancherebbe altro, che riesce comunque a trovare sempre la contromisura giusta). Quello che sorprende, e non smetteremo mai di ripeterlo, è che tutto questo dominio e tutti questi risultati incredibili sono avvenuti proprio dopo un infortunio che ha tenuto fuori Nadal per 7 lunghi mesi. Questo è un termine di paragone assolutamente da non sottovalutare nello stilare eventuali (ed inutili) classifiche di paragone, ma a parte qualche lieve sospetto qua e là sulla reale entità dell’infortunio del maiorchino, si tratta probabilmente del più sensazionale “comeback” post-bua che il tennis ricordi (se qualcuno ha la memoria migliore, però, è sempre invitato ad intervenire). Detto questo, e fatti i dovuti paragoni (se Nadal non vince gli Us Open il discorso inevitabilmente cade), vediamo cosa succederà a New York. Magari con un occhio a quel giocatore “only slam” che sta diventando Andy Murray.
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