US OPEN – Mesi in cui non si fa altro che parlare di Nadal e del suo incredibile ritorno che lo ha visto perdere pochissime partite, che nemmeno si contano sulle dita di una mano. Mesi in cui ci si stupisce -e a ragione- di un recupero così formidabile, inatteso, dirompente. Tutto giusto, tutto legittimo. Tuttavia, c’è un aspetto (in verità non uno solo) che in mezzo a tutto questo è perfino più sorprendente e clamoroso: sul cemento Nadal ha vinto nel 2013 fin qui 17 partite. Persa nessuna.
I tornei giocati su questa superficie sono fondamentalmente tre: Indian Wells, Montreal e Cincinnati. E se per il primo possiamo trovare una ragione di velocità irrisoria del campo, per l’ultimo sicuramente no. Il recupero di Rafa rimane inspiegabile per certi versi, ma faremmo un torto alla verità e all’oggettività se non tentassimo di analizzare e capire bene quali sono le ragioni che lo abbiano portato a vincere questi tre MS1000 e ad essere il principale favorito agli US Open (dove ha già superato due turni).
Non in California, ma dal Canada in poi abbiamo potuto subito apprezzare un servizio completamente diverso da parte del maiorchino: la percentuale di prime non è calata sensibilmente ma la sua potenza e soprattutto la precisione hanno subito una virata decisiva. Nadal ha conquistato moltissimi punti nel match grazie a questo fondamentale che solitamente non risulta decisivo nel suo gioco.
Se contro Djokovic, per forza di cose, non è stato continuo ed efficace per tutto il match, nel resto degli incontri disputati è parso quasi scoraggiante per gli avversari alla risposta. Non è cambiato il movimento, ma la capacità di trovare angoli e di colpire in maniera più secca è certamente più evidente.
Lo spagnolo ha già sperimentato un cambiamento simile: agli US Open del 2010 trovò per tutto il torneo una velocità prima mai vista; interrogato sui motivi di questo cambiamento, Rafa disse semplicemente che aveva cambiato il tipo di impugnatura: addirittura uscì fuori una storia sull’imitazione di un movimento da golfista, di un collaboratore esterno che avrebbe dato a Nadal e allo zio l’idea. Dopo quel torneo, il servizio di Rafa tornò più lavorato e meno efficace, tra la perplessità generale.
Il cambiamento è adesso più radicale, perché riguarda in realtà molti altri aspetti del gioco di Nadal: non la risposta, che rimane comunque più o meno dello stesso tipo. Contro i top player, Rafa risponde quasi sempre da dietro la linea di fondo; riesce ad avanzare invece in partite che teme molto meno. La volontà e la precisione del colpi, la risolutezza nel tirare hanno portato Nadal, insieme a una grande condizione fisica, a queste diciassette vittorie, a questo filotto che non vuole arrestarsi.
Qualche giorno fa Tom Perrotta, che scrive per il Wall Street Journal, ha intervistato Francisco Roig, dagli appassionati conosciuto come il “supplente” dello zio Toni (e non vi è alcuna mancanza di rispetto, in questa definizione, anzi). Roig ha rilasciato a riguardo dichiarazioni parecchio interessanti:
«Abbiamo dovuto cambiare qualcosa: perché Rafa allunghi la carriera e per non subire il gioco e vincere contro i più forti. Abbiamo iniziato ad allenarci soprattutto sulla precisione, le sue famose bottigliette sono servite in tal senso… o anche qualcos’altro, purché l’obiettivo fosse migliorare la mira, la precisione. Tirare, non limitarsi a contrattaccare».
Una nuova propensione è chiara ed è stata progettata. Ma ci si chiede: possibile che lo spagnolo e il suo team non ci avessero pensato prima? E che questa nuovo modo di giocare sia circoscritto solo al cemento?
Quanto durerà, lo scopriremo vivendo. E quanto Nadal si affiderà ad un gioco di precisione -con i suoi noti rischi e pochi margini di sicurezza- durante una partita combattuta e difficile, nelle giornate in cui non gira bene?
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