di LORENZO DI CAPRIO
“Ho giocato un match terribile”: partiamo da qui, da queste dichiarazioni frustranti e arrendevoli uscite dopo la sconfitta con John Isner, poi facciamoci una domanda da un milione di dollari: cosa è cambiato in Novak Djokovic? Le risposte saranno infinite ma, come in ogni cosa, la certezza è che ci sono delle basi dalle quali non ci si può scindere: basi solide che, in tutto e per tutto, Nole non ha più.
La certezza di essere il numero uno. La solidità mentale, in casa Djokovic, è sempre stata un marchio di fabbrica: la consapevolezza di essere un gradino sopra gli altri, di avere sempre quella soluzione in più, dava al serbo sicurezza e stabilità. Cose che sono palesemente mancate, ad esempio, nell’ultima uscita contro Isner – uno che, a dispetto delle iniziali impressioni, sul duro è in grado di far male chiunque con tanta umiltà e altrettanta concretezza -. Nole, a testimonianza di ciò di cui stiamo parlando, si è dimostrato falloso ma, soprattutto, mentalmente scarico. Basta vedere gli ultimi punti dell’incontro, quelli con cui il serbo ha perso il match: un doppio fallo e due rovesci morti a metà rete, quasi a suggellare un’uscita di scena ingloriosa e prematura per un appuntamento tanto importante come questo. Importante perché Cincinnati poteva essere non solo il ritorno alla conquista di un trofeo (che manca dalla terra rossa di Montecarlo, ad Aprile), ma anche il torneo che avrebbe dato al ragazzo di Belgrado il titolo di vincitore di tutti i 1000 in programma e quindi il Career Golden Master, di cui nessuno al momento può vantarsi.
Rafael Nadal. “Cosa c’entra lui, ora?” direte voi. Strettamente collegato a tutto l’aspetto mentale analizzato prima, il mancino di Manacor è una personcina che, vuoi o non vuoi, quando ne ha le possibilità cambia le carte in tavola e, molto spesso, le porta dalla sua parte. Novak Djokovic non gioca più da numero uno perché, stesso a suo dire, non lo è più. E’ stato sostituito egregiamente da Rafa e non ha problemi a dirlo: “Da quando è tornato, Rafa Nadal è stato il miglior giocatore al mondo, senza dubbio. Ora è più aggressivo, nel match contro di me, si muoveva molto e aveva una gran varietà di gioco. È stata ancora però una partita molto combattuta”. Il campione serbo è uno che pesa le parole (e lo ha dimostrato anche quando, poco tempo fa, si è distaccato dalle accuse del padre Srdjan), dice solo ciò che pensa e, forse, il problema è proprio questo: Novak deve tornare ad essere ciecamente sicuro dei propri mezzi, certo di poter superare ogni avversario in ogni circostanza. Sarà difficile, con un test tanto importante come lo Us Open alle porte, ma ha già piacevolmente abituato gli addetti ai lavori: il ranking, dopotutto, è ancora dalla sua parte.
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