Djokovic fa quello che può, troppo poco per fermare Alcaraz

[2] C. Alcaraz b. [7] N. Djokovic 6-4 7-6(4) 6-2

“Non sono ancora al massimo del mio livello, ma ci sono vicino”.Superando Novak Djokovic per la quarta volta (la prima in assoluto sul cemento), Carlos Alcaraz si è guadagnato l’accesso alla finale degli US Open, la seconda a New York dopo il trionfo del 2022 che gli regalò la prima gioia a livello slam, oltreché la leadership mondiale. In un match sostanzialmente a senso unico in cui ha messo in campo un ritmo insostenibile, il ventiduenne spagnolo (oltre allo strapotere fisico e tecnico) ha confermato la sua crescita anche dal punto di vista della solidità mentale, riscattando così la sconfitta subita in gennaio agli Australian Open.

Eppure, quando lo scorso 21 agosto è stato sorteggiato il tabellone, buona parte della curiosità (e dell’attesa) era riversata sull’apprendere da quale lato di tabellone sarebbe finito il già quattro volte campione del torneo Novak Djokovic. Ovvero il principale candidato a spezzare il duopolio che da oltre un anno e mezzo detta legge nel circuito. Designato per recitare il ruolo (come per sua stessa definizione) di “guastafeste” tra i millennial Jannik Sinner a Carlos Alcaraz, dopo essere stato (prima di superarli entrambi) il terzo incomodo tra Roger Federer e Rafael Nadal. Una funzione necessaria all’interno della sceneggiatura che è stato chiamato a ricoprire (nonostante le 38 primavere festeggiate in maggio) in parte per l’attuale mancanza di alternative credibili, soprattutto per l’intramontabile classe e quella famelica determinazione nel provare ad agguantare il tanto bramato venticinquesimo slam che quest’anno gli hanno permesso di raggiungere la semifinale in tutti e quattro i major (unico a riuscire nell’impresa insieme a Sinner).

Motivazioni che, unitamente ai precedenti (tre vittorie in otto confronti complessivi, di cui nessuna nelle tre sfide disputate sul cemento), non devono aver suscitato l’entusiasmo di Carlitos e del suo team una volta venuti a conoscenza di potersi ritrovare in rotta di collisione con il fuoriclasse serbo prima dell’ultimo atto. Perché se a Parigi e Londra era stato Jannik a sbarrare la strada a Nole, ad inizio anno a Melbourne (in occasione dei quarti) lo scontro con il tennista originario di Belgrado era costato al ventiduenne murciano l’eliminazione dal torneo. Tornato in campo direttamente a Flushing Meadows un mese e mezzo dopo la semifinale persa a Wimbledon, per tutta la prima settimana il solito Djokovic si è mostrato scontento per un livello di gioco lontano dai suoi standard, oltreché preoccupato per il problema alla schiena riscontrato nel match di terzo turno con Norrie. Poi, come da copione, avanzando nel torneo il classe 1987 ha progressivamente alzato il livello fino ai quarti di finale dove, per l’undicesima volta in altrettanti scontri diretti, ha avuto ragione del finalista della passata edizione Taylor Fritz (ultimo beniamino di casa rimasto in gara nel tabellone maschile) per raggiungere la cinquantatreesima semifinale slam della sua monumentale carriera.

Nel match pomeridiano che ha visto andare in scena la semifinale della parte bassa del tabellone, Alcaraz è stato il più reattivo ad uscire dai blocchi. In un primo (e già decisivo) game subito intenso e lottato, Nole non è riuscito a sventare la seconda chance di break concessa: perdendo il controllo del dritto a sventaglio in uscita dalla seconda di servizio (dopo una risposta molto profonda scagliata con il rovescio dallo spagnolo), il serbo ha ceduto la battuta in avvio. Incontenibile dal lato destro Carlos ha dominato i suoi turni, non concedendo occasioni e permettendo una sola volta al serbo di issarsi fino ai vantaggi. Con una prima esterna da destra il classe 2003 originario di Murcia è andato a set point (40-30), con una al centro da sinistra ha chiuso la prima partita sul 6 a 4.

Dopo un set in cui si era mostrato inattaccabile, con un errore di rovescio in manovra Alcaraz ha concesso nel secondo game della seconda partita una chance in risposta (30-40), trasformata in oro da Djokovic grazie ad una straordinaria difesa. Il serbo ha confermato il vantaggio (3 a 0), ma nel quinto gioco è stato costretto a subire il contro break quando, dopo uno spettacolare passante di Carlitos (30-40), ha malamente affossato un rovescio in rete. Ad inizio tie-break lo spagnolo ha disinnescato il tentativo di serve and volley di Nole con una gran risposta in allungo giocata con il dritto, riuscendo sempre a mantenere la testa avanti. Gran prima al centro da sinistra per il set point (6-4) ed ottima seconda (sempre al centro) per portarsi sul due a zero: 7-6 (4).

Messo con le spalle al muro, a differenza di altre occasioni, stavolta Nole non è riuscito a trovare nel suo serbatoio le energie (anche mentali) necessarie per provare a spostare la contesa su altri terreni al lui più favorevoli e cercare di ribaltare una situazione disperata. Un Everest diventato impossibile da scalare quando al cospetto di un Alcaraz mai battuto nelle precedenti 52 occasioni in cui si era trovato avanti di due set, il serbo ha commesso due doppi falli che nel quarto game gli sono costati il break. Scarico ed esausto il ventiquattro volte campione slam ha finito per cedere la battuta anche nell’ottavo gioco, concedendo match point con un altro doppio fallo e spedendo in corridoio la volée con cui aveva seguito il servizio: 6-4 7-6 (4) 6-2 in 2 ore e 23 minuti.  

“Carlos è mentalmente migliore che mai, più forte e più costante”, aveva dichiarato coach Juan Carlos Ferrero alla vigilia della semifinale. L’ex numero uno del mondo che nel 2003 trionfava al Roland Garros quando il suo allievo aveva poco più di un mese di vita, ha spiegato come dopo la finale dei Championships il team si fosse riunito, analizzando in una discussione molto positiva quanto accaduto e ricercando altresì la strada migliore per affrontare il tour americano. Il periodo di vacanza fino a Cincinnati ha consentito a Carlitos di atterrare negli States più riposato e motivato. Con le idee più chiare si è potuto lavorare sui dettagli (come il servizio) e soprattutto sulla costanza cercando di limitare gli alti e bassi e, conseguentemente, anche gli errori gratuiti che (prima del match Nole) a New York sono stati ridotti ai minimi termini.

La graduale maturazione di un fenomeno assoluto che, a poco più di ventidue anni, domenica giocherà la sua settima finale slam in carriera (la terza consecutiva) andando alla ricerca del sesto trionfo in un major. Numeri di un fuoriclasse che, a dispetto delle critiche di inizio stagione per il rendimento altalenante, da aprile in poi ha sempre raggiunto l’ultimo atto in tutti i tornei disputati, rimediando appena due sconfitte (a Barcellona – da infortunato – contro Rune, a Wimbledon da un certo Sinner). Successi che il suo cristallino talento (per quanto ora sempre più gradualmente votato alla concretezza) non ha mai mancato di condire con prelibate esecuzioni capaci di deliziare il palato degli appassionati di Tennis di ogni età e latitudine. Perché sarà pur vero che vincere conta più di ogni altra cosa, ma il come (almeno nello sport) non dovrebbe mai lasciare indifferenti.

Dalla stessa categoria