La domenica della finale di Wimbledon è il giorno più importante del tennis. Per quanto si possano assottigliare le differenze tra i campionships e gli altri slam, inutile negare che quest’incursione di un mese scarso sui prati continua a certificare l’assunzione al cielo del tennis. Quasi impossibile dimenticarne anche una sola di queste finali, perché c’è sempre un motivo per cui resteranno impresse nei ricordi non solo di chi gioca, va da sé, ma anche di chi guarda. Quella di quest’anno naturalmente non fa eccezione, perché se quella dell’anno scorso doveva dirci la parola definitiva sul valore di Carlos Alcaraz stavolta, assodato che il ragazzino spagnolo è una spanna sopra i contemporanei, si tratta di vedere a quale posto della storia di questo è legittimo che aspiri. E fa specie che questo gli capiti a 21 anni appena compiuti, età in cui Federer non aveva ancora vinto il suo primo Wimbledon, Becker vinceva il suo ultimo, Nadal faticava per arrivare in finale fuori dall’amata terra rossa. Anche il suo rivale di oggi, il recordman di vittorie slam, che oggi attacca anche quello di Wimbledon, dovrà aspettare di compierne 24 per vincere su questi prati, e sarà solo il terzo successo slam. Insomma se si parla di precocità Carlitos ha già fatto meglio di tutti quanti e il dubbio si deve spostare su altre questioni, alcune probabilmente irrisolvibili, come il valore complessivo del tennis contemporaneo e la presenza di rivali in grado di infastidirlo. Alcaraz ha mostrato spesso di non soffrire sostanzialmente nessuno, e forse proprio quest’edizione del torneo è stata limpidamente esemplificativa del tipo di giocatore che è stato fin qui lo spagnolo. Carlos ha margini di superiorità molto ampi rispetto a chiunque ma non riesce a tenere alta la concentrazione per l’intera partita, cosa che finisce col fargli perdere dei set che – se solo il margine con gli altri si abbassasse – sarebbero decisivi. Con Tiafoe, per esempio, è riuscito ad arrivare al quinto set perdendo il primo quando era avanti 4-2 e il terzo dopo aver dominato il secondo senza nessun problema. Ma anche con avversari persino meno consistenti, come Lajal o Vukic, Alcaraz ha trovato modo di complicarsi il primo set. La cosa stupefacente è che quale che sia stato il valore dell’avversario, foss’anche il miglior Medvedev dell’ultimo anno, alla fine Carlos ha semplicemente alzato la soglia di attenzione, confinando nell’avvilimento gli avversari. Bisogna tornare al Federer dei tempi belli per ritrovare un percorso verso la finale che desse una tale impressione di inscalfibilità.
Il tutto quindi si riduce ad una sola domanda: è in grado il Djokovic di questi tempi di poter fare partita con questo Alcaraz? Se il tennis, lo sport, avesse ina logica la risposta sarebbe impietosa. Senza troppo addentrarsi in considerazioni speciose – sarebbe la stessa cosa contro il Djokovic del 2011? – va ricordato che la partita la gioca un atleta di 37 anni, che negli ultimi sei mesi ha perso con gente come Nardi, Tabilo e Machac, che è stato costretto al ritiro a Parigi per farsi un’operazione al menisco appena 40 giorni fa. E che in questo torneo arriva in finale dopo non aver incontrato nessun top10. Ciononostante si tratta di Novak Djokovic, uno che è risorto più volte di Napoleone e che ha giocato la sua miglior partita dell’anno proprio in semifinale, cioè l’altro ieri. Che sia nelle condizioni migliori possibili non c’è da dubitarne ma anche lui sa che una cosa è affrontare il gioco estroso di Musetti altro quello infinitamente più potente di Alcaraz. Non ci sono dubbi che qualcosa starà preparando, quasi sicuramente inizierà aggredendo ovunque e comunque, userà il Serve and Volley, non accetterà lo scambio da fondo e spererà che le percentuali di prime di Alcaraz si tengano ad un livello non troppo alto in modo da poter usare la sua fantastica risposta. Basterà? Dipende da Alcaraz, ovviamente. Se lo spagnolo ripeterà i set conclusivi contro Paul e Medvedev non ci sarà invenzione che tenga, se prolungherà i cali di concentrazione la partita potrebbe diventare equilibrata. L’ultima volta che i due si sono incontrati, a Torino, Djokovic ha vinto abbastanza facilmente, così come era riuscito a vincere quella finale bellissima di Cincinnati, dopo essere stato letteralmente in balia di Carlos per un set e mezzo prima che appunto lo spagnolo uscisse dal match per poi rientraci sporadicamente. Ma i precedenti valgono in genere molto poco, figuriamoci quando a incontrarsi sono un giocatore in ascesa e uno in declino, per quanto dorato. Inutile pure ricordare la finale dell’anno scorso, vinta di nuovo “alla Alcaraz” cioè dopo che lo spagnolo aveva riaperto una partita che alla fine del terzo set era sembrata finita. Vedremo tra poche ore cosa avrà deciso di fare Carlitos.
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