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29 Lug 2023 11:06 - Interviste
La parola di Vagnozzi: “Dateci tempo, lavoriamo per un grande Sinner”
Il coach: "Sinner segue la propria strada, è migliorato sotto molti aspetti"
di Daniele Azzolini
Allarme Sinner non è un titolo che gli piaccia granché, neanche quando il “suo ragazzo” finisce fuori dal Roland Garros al secondo turno contro Daniel Altmaier… E io lo capisco pure, Simone Vagnozzi, perché lui i conti li fa mettendo in fila l’intera filiera di sensazioni e certezze che gli giungono dalla stagione in corso. È un coach, che diamine, si dà un obiettivo condiviso con il proprio assistito e lo persegue, attento a precisare che «ognuno ha il suo tempo per crescere e maturare», che poi è anche questa una grande verità. L’attualità gli interessa meno, la sconfitta «ci sta», anche quella con Altmaier, i progressi sono in linea con le scelte compiute assicura, le preoccupazioni per uno o due stop lo assillerebbero solo se la sequenza di sconfitte assumesse la consistenza di un’intera stagione. Ma non è questo il caso, no davvero. «Sinner segue la propria strada, è migliorato sotto molti aspetti, ha vinto a Montpellier, ha fatto finale a Rotterdam, poi la semifinale a Indian Wells e la finale a Miami. Sulla terra rossa la semifinale a Montecarlo, sull’erba la semifinale a Wimbledon, persa solo contro un Djokovic in grande spolvero. Era numero tre nella Race, ora è tra il quarto e il quinto posto. Ed è Top Ten da cinque mesi filati». Chiude qui la tirata, senza altro aggiungere, ché tanto il concetto è chiaro. Perché dovrebbe essere allarmato per Sinner?
Di buono c’è che Simone usa la gentilezza, e lo fa senza sforzo alcuno. È un tratto del suo carattere. Naturalmente gentile… E disponibile a questa intervista con i giornalisti italiani che non ha potuto incontrare a Wimbledon.
– C’è un bel rapporto tra Alcaraz e Sinner. Fondato sul rispetto, oltre che sulla reciproca conoscenza. Ci si chiede però se l’arrivo di uno come lo spagnolo, più giovane di Jannik, ma già in grado di vincere due Slam, non abbia generato oltre che uno stimolo a migliorare, anche una pressione troppo alta sul nostro numero uno.
«Proclami non ne abbiamo mai fatti, non siamo andati in giro a dire che Sinner avrebbe vinto quel titolo e quell’altro. È inevitabile che i giovani più forti crescano in fretta, e Alcaraz è molto forte e molto rapido nell’apprendimento. Sinner fa la sua corsa, rispetta le tabelle di marcia, ma non dimenticate che ha già battuto più volte Alcaraz. Quando il periodo di crescita sarà ultimato, siamo convinti che Jannik potrà aspirare a vincere tornei come gli Slam».
– Si rivolge spesso al proprio angolo, Sinner, quasi abbia bisogno di sentire la vostra carica, è così?
«Ci sono dei momenti in cui il giocatore ha bisogno di un pizzico di carica in più, ed è giusto che Sinner ce la chieda. Dopo Parigi abbiamo lavorato molto sull’essere più positivi durante i match, Jannik ha capito, è stato bravo, e a Wimbledon le cose sono andate molto meglio».
– Rimanendo sul tema, o quasi… Questo continuo rivolgersi ai coach durante i match – lo fa Sinner, ma lo fanno anche gli altri – non contrasta un po’ con quella esigenza di saper risolvere i problemi da solo, cui il tennis di fatto costringe? Esiste un percorso per abituare i tennisti a sentirsi soli, a pensare da soli, a fare come se voi non ci foste?
«Il tennis è cambiato, ora possiamo interagire di più con il tennista in campo. Ma certo non possiamo essere noi a risolvere certo tipo di problemi, deve pensarci il tennista, da solo, con le proprie scelte. Possiamo dare qualche consiglio, ma il tennis è uno sport che non rinuncia alla solitudine dei suoi protagonisti. Tutto ciò che facciamo, in fondo, ha quel fine. Sapersela cavare da soli».
– Prendendo in prestito una frase di Sinner… Tu lo vedi felice?
«Beh, al Roland Garros non lo era. A Wimbledon molto di più. La stagione svolta fin qui, dovrebbe renderlo felice. Molto felice. In generale, lo vedo più gioviale e sorridente. Un po’ più italiano, insomma».
– I risultati di stagione dicono che il cemento è diventato la sua superficie preferita, mentre la terra slitta al terzo posto, dietro l’erba.
«Il suo gioco, il modo di stare in campo, piede sulla riga, effettivamente è ottimo per il cemento. Ma direi che non ci sono difficoltà di adattabilità alle altre superfici. Sinceramente, non le vedo».
– Dove è migliorato di più Sinner?
«Occorre lavorare ancora in profondità. Deve migliorare su tutti gli aspetti, a cominciare da quello fisico. Dopo Parigi abbiamo cambiato il servizio, avevamo un po’ di tempo a disposizione e l’abbiamo sfruttato così. Jannik, ne siamo convinti, batte meglio partendo da una posizione a piedi uniti. Ora ci aspettano tanti altri step. In particolare dobbiamo lavorare sull’aspetto tattico della partita».