Il tennis di Jabeur in punta di fioretto

Delle tre armi della scherma il fioretto è quella accademica, concepita inizialmente per l’insegnamento, diventata solo in seguito una autonoma disciplina e specialità olimpica.

Il fioretto deve il suo nome con buone probabilità  a un bottone di sicurezza di cuoio, dalla forma di fiore, apposto sull’estremità della lama per impedire che gli allievi potessero ferirsi durante la pratica. Nasce forse da questo il modo di dire in punta di fioretto, alludendo a una modalità di interloquire e rapportarsi accorta, delicata, complessa e raffinata. Sembra giocare a tennis in punta di fioretto Ons Jabeur trionfatrice in finale al Mutua Madrid Open e protagonista di una vittoria storica sull’avversaria americana Pegula. Già perché la tennista tunisina è divenuta la prima giocatrice araba a vincere un WTA 1000.

Infrangere record sembra oramai una costante nella vita della giovane Ons: se è stata la prima tennista araba ad aggiudicarsi un titolo nel circuito WTA, la Jabeur è riuscita anche a disputare i quarti di finale in un torneo del Grande Slam, impresa centrata rispettivamente agli Australian Open nel 2020 e a Wimbledon nel 2021; vanta inoltre due ottavi di finale consecutivi al Roland Garros nel 2020 e nel 2021. Adesso l’attende la terra rossa di Roma dove ha già conquistato i tifosi con l’originalità del suo tennis. Grazie al suo stile di gioco eccentrico ed estremamente vario si è presto garantita un’immediata popolarità mediatica presso la comunità tennistica internazionale. Eppure Ons è sbocciata tardi: dopo i successi juniores, tra cui  la vittoria al Roland Garros nel 2011, sulla strada della tennista sono comparsi molti ostacoli che ne hanno rallentato la corsa rendendone discontinua la resa agonistica. In molti le hanno suggerito di smettere, altri hanno provato a cambiare il suo stile di gioco cercando di sacrificare l’armonia in nome della potenza, ma Ons con grande determinazione non si è fatta scoraggiare restando fedele a se stessa e continuando con tenacia la sua scalata verso il successo.

Proprio come un candido gelsomino si è avvinghiata al suo sogno senza cedere e con grande spirito di adattamento è riuscita a superare  rigide barriere culturali arrivando là dove molte donne non si spingono, con la forte determinazione di chi fa, divertendosi, ciò che ama. La Jabeur definisce con fierezza il suo tennis spettacolare un “prodotto tunisino al 100%”: ha iniziato a giocare da bambina e quando non riusciva a trovare campi da gioco a Susa, andava ad allenarsi in quelli degli hotel vicini. Sostenuta dalla madre, strenuamente convinta del ruolo  fondamentale dell’istruzione, solo dopo aver conseguito il diploma al Liceo Sportivo di Tunisi Ons si è concentrata esclusivamente sul tennis. Ha sperimentato alcune accademie in Francia e in Belgio ma poi è ritornata ad allenarsi in Tunisia seguita da coach francesi. La giovane ritiene infatti determinante per il successo raggiunto non solo il sostegno della famiglia ma soprattutto la cultura araba, tanto che ha deciso di promuoverla con grande passione.

Non nasconde infatti di voler diventare icona delle donne arabe, per diffondere la bellezza di uno sport che molto spesso le donne musulmane non praticano: “Gioco a tennis da quando ero bambina per ispirare le donne arabe, per far capire che nulla è impossibile”, ha spiegato in un’intervista, “mi sento un’ambasciatrice del mio Paese, ma anche dei giovani e delle donne”. Ons, nonostante abbia solo ventisei anni, ha trovato anche tempo per l’amore: dal 2015 è sposata con l’ex schermidore bronzo olimpico Karim Kamoun che adesso le fa anche da preparatore atletico nello staff guidato dall’allenatore Issam Jellali. Ha un braccio fatato l’esuberante pioniera del tennis arabo con cui riesce a imprimere alla racchetta l’estro naturale e l’armoniosa raffinatezza di un fioretto: un affondo vincente contro i tabù e un fendente con cui sbarazzarsi degli stereotipi femminili, per abbattere i muri culturali e ricordarci che i limiti sono spesso nella nostra testa. Con la vittoria del master 1000 madrileno Ons Jabeur ha scritto una pagina epica del tennis africano e ridisegnato in punta di fioretto i contorni dei sogni e delle speranze di chi lotta con coraggio per l’emancipazione femminile, una battaglia trasversale ancora tutta da vincere,  sia all’interno di una casa di moda italiana che dietro le fessure velate di un burqa.

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