[WC] A. Konjuh b. K. Siniakova 7-6(3) 7-5
Dopo l’ultimo rovescio vincente Ana Konjuh si è coperta il volto, esultando e dirigendosi poi verso la propria sedia, lasciandosi andare a un pianto liberatorio. È difficile non scendere a patti con la retorica in questo caso, se pensiamo a una ragazza di nemmeno 24 anni (li farà il 30 dicembre) che aveva appena toccato la top-20 quattro anni fa prima di cominciare un calvario infinito con almeno tre interventi al gomito destro.
Oggi, al primo turno di Miami, ha capitalizzato al meglio la wild-card concessa dagli organizzatori per trovare il primo successo in un tabellone principale del circuito maggiore dopo oltre tre anni dall’ultimo, il 31 dicembre del 2017 contro Kiki Bertens nell’esordio del WTA Premier di Brisbane. 7-6(3) 7-5 il risultato finale della sua partita contro Katerina Siniakova, dove ha recuperato da 3-0 nel primo set e addirittura da 5-2 (e servizio) per la ceca nel secondo guadagnandosi un secondo turno di prestigio contro Madison Keys.
Ragazzina prodigio della Croazia, era annunciata come l’ennesima giocatrice classe 1997 con potenzialità da altissima classifica assieme a Belinda Bencic, Daria Kasatkina, Alona Ostapenko e, ovviamente, Naomi Osaka. Lei è arrivata subito dopo il primo exploit Slam svizzera, a inizio del 2015, e dopo aver ottenuto il primo titolo in carriera sull’erba di Nottingham nel 2016 raggiungeva i quarti di finale allo US Open di quello stesso anno.
Alex MacPherson, giornalista della WTA, aveva avuto modo di parlare solo poche settimane fa con Konjuh, poco prima che partisse per il Medio Oriente dove già aveva colto una bella qualificazione nel WTA 1000 di Dubai. Ana diceva che non ha mai veramente pensato di smettere, malgrado i rischi (lo ammise lei stessa quando fece l’annuncio) erano abbastanza alti alla vigilia dell’ultimo intervento chirurgico, quando doveva ricostruire un legamento e i medici le avevano rivelato che solo l’80% degli atleti poteva riprendere a giocare: “Il dottore mi ha detto che era l’ultima opzione, ci ho pensato meno di cinque minuti e ho detto: ‘Facciamolo'”. Lei che nel 2013 vinceva l’Australian Open e lo US Open ha rivelato che il dolore la accompagnava da tanto tempo perché ai tempi nessuno era in grado di darle una vera spiegazione del problema. Ammettendo che riusciva a sopportare abbastanza bene il dolore, anche lei ha continuato e che avrebbe forse deciso per il primo intervento molto prima del previsto.
La prima vera operazione arrivò già nel 2014, una pulizia che sembrò risolvere il problema. Poi però nel 2017 si svegliò a Montreal una mattina che non riusciva a sollevare il braccio, ci fu un nuovo intervento nel 2018 seguito da un nuovo intervento di pulizia e potè giocare solo quattro tornei, ma ancora i guai non erano finiti perché nel 2019 il dolore tornò e si fermò dopo appena tre tornei. Fatto l’ennesimo intervento chirurgico, cominciò una lunga riabilitazione e aveva bisogno di un aiuto anche solo per lavarsi i denti, consapevole che ormai il gomito non potrà più tornare come era prima.
Nel periodo di pausa, racconta Konjuh, ha sentito l’appoggio di diversi giocatori e giocatrici, tra cui Kristina Mladenovic, Carol Zhao (compagna di doppio all’Australian Open junior 2013, vinto, e anche lei vittima di problemi al gomito) ed Elias Ymer. Ha pianto guardando il documentario su Andy Murray. E non ha mai perso la speranza di poter tornare a competere. Adesso l’obiettivo è la top-100 per fine anno.
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