Come sempre, a fine stagione, Aryna Sabalenka lascia la propria firma tra le protagoniste del circuito.
La bielorussa ha sempre avuto questa tendenza fin dal suo arrivo tra le migliori del tennis femminile: nel 2017 fu in grande evidenza prima con la semifinale a Tashkent (la prima a livello WTA), poi con l’ottima prestazione nella finale di Fed Cup e lasciando il segno con un titolo 125k; nel 2018 da New Haven in poi aveva un ritmo da top-5 culminato nel titolo a Wuhan; lo scorso anno i bis a Wuhan e il titolo a Zhuhai; adesso, nel 2020, la vittoria in una settimana assai rocambolesca a Ostrava.
Era la terza favorita del seeding, ma le prestazioni dei primi giorni non facevano granché sperare in un ottimo risultato anche perché ha giocato abbastanza male per larghi tratti del match contro Cori Gauff e Sara Sorribes Tormo. Il match contro la spagnola, ancora oggi, lascia tutti un po’ con la bocca aperta perché da 6-0 4-0 e due chance del 5-0 sotto si è ripresa (o meglio dire è entrata nel match) e ha dilagato con 12 game di fila. La chiave però che ha condotto al successo odierno in una finale storica contro Victoria Azarenka, la prima a livello WTA tra due bielorusse, è nell’atteggiamento avuto contro la spagnola in quel match di quarti di finale.
A fine partita lei per prima ha rivelato di essersi arrabbiata tanto quella sera nei suoi stessi confronti, quasi disgustata dall’atteggiamento avuto in campo per tutta la prima ora di gioco e ammettendo che un doppio 6-0 sarebbe stato più che meritato. La differenza tra le due, sul veloce indoor, era importante e il 12-0 di parziale può stupire ma non troppo: il problema semmai nella chiave di lettura fu l’atteggiamento avuto prima. Diceva, alla stampa, che non c’era vera stanchezza in lei ma non aveva risposte dal proprio corpo finché non ha cominciato a lasciar andare il braccio senza più nulla da perdere e dimenticandosi, anche, quanto fatto fin lì.
Dopo quel 12-0 il suo torneo è veramente cambiato, perché in semifinale il 6-4 6-4 contro Jennifer Brady non era così facile da prospettare visto quanto bene stava giocando la statunitense sul veloce e quanto potesse, Sabalenka, essere incline all’errore. Invece il copione è stato ribaltato e oggi nella finale ha continuato a imprimere un ottimo livello di gioco bilanciando aggressività e precisione, dominando la situazione nelle fasi più incerte di una partita che si è spenta purtroppo troppo presto. 6-2 6-2 il punteggio finale che ha premiato la numero 3 del tabellone contro la numero 4, spegnendo la grande attesa per un match che vedeva i due calibri più pesanti del tennis femminile bielorusso. Dopo i primi 6-7 game di buon equilibrio e livello generale, il passo di “Vika” è stato il primo sentore che qualcosa non stesse più funzionando. Aveva perso brillantezza e velocità, e si notava un movimento sempre più pesante.
Sabalenka, centratissima, stava colpendo un alto numero di vincenti riducendo al minimo gli errori anche nel momento in cui c’era effettivamente partita. Quando poi si è trovata spesso con un passo in più, ha cominciato a dilagare. Il break a inizio del secondo set, per il 2-1 e servizio, ha messo la parola fine alla partita. Azarenka si è fermata per un medical time out dove non si è capito se fosse un problema al collo o se avesse dei giramenti di testa perché si è trovata stesa per terra con la fisioterapista che le massaggiava il cranio vicino agli occhi con lei che aveva lo sguardo di chi era andata, finita. È ripartita più per non concedere la vittoria con un ritiro, ma non aveva più energie. Ferma coi piedi, non azzardava nemmeno lo spostamento se Sabalenka cercava l’angolo.
Ha ripreso un break più per l’aiuto di risposte vincenti di puro incontro, ma la mini rimonta si è fermata sul 2-4 30-0 con quattro punti consecutivi vinti dalla connazionale che hanno messo definitivamente la parola “fine” sull’incontro. Sul 6-2 5-2 Aryna ha comunque avuto bisogno del terzo match point, ma è arrivato alla fine il settimo titolo WTA in carriera, il primo in Europa, che le danno modo di chiudere la stagione al numero 11 del mondo per il terzo anno di fila.
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