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05 Nov 2019 10:31 - Interviste
Berrettini: “Pronto per le ATP Finals, non sento la pressione”
A poche ore dal sorteggio delle Finals di Londra, Matteo Berrettini si racconta a OkTennis
di Daniele Azzolini
Per lui Federer ha raccontato favole. Di quando era un bimbo e Agassi gli nascondeva la palla, la voglia di sparire che avvertiva, lo stimolo in più che da quei sentimenti ha preso corpo.
Capita di sentirsi fuori luogo dopo una sconfitta, occorre reagire in fretta. Matteo, dopo Wimbledon, ha capito. E il gran finale di stagione, con ATP Finals annesse, è nato anche dalle riflessioni dopo la lezione («Grazie, Roger, quanto di devo?») ricevuta negli ottavi.
Nadal ha speso parole preziose. «Berrettini ha già tutto, diventerà un grandissimo giocatore. Anzi, lo è già, e ha tanti anni davanti a sé per migliorare ancora».
Il terzo dei Re Magi, Novak Djokovic, gli ha ceduto uno dei pezzi forti del suo team, Craig O’Shannessy, strategy analist, del quale si era invaghito quando seppe che aveva aiutato Dustin Brown a battere Rafa sull’erba di Wimbledon. Ora è al lavoro per Matteo, con le sue statistiche e gli spunti di strategia che ne ricava.
Settantadue ore all’alba, poi la partenza per le ATP Finals. Da giovedì si ricomincia, con un titolo in più, quello di Maestro. Anzi, Mastro, che ha il sapore del lavoro antico, tutto sofferenza, dedizione, entusiasmo e spirito artistico dei nostri artigiani. Mastro Matteo… Anche lui con la sua natura aitante ed entusiasta, sempre impegnata a ribaltare i momenti negativi in insegnamenti, piombato alla velocità di una cometa nelle sale di un Club che non ci apparteneva più da 41 anni. Il Club dei Maestri, appunto. Matteo è il terzo italiano cui venga accettata l’iscrizione, prima di lui solo Panatta (1975) e Barazzutti (1978). Chissà, magari diventerà il primo italiano a vincere un match nel torneo. Adriano e Corrado non vi riuscirono.
«Appena qualche settimana fa, le ATP Finals erano l’ultimo dei miei pensieri. Non avrei mai pensato di qualificarmi. Ora sono felicissimo. È una grande soddisfazione per me, la mia famiglia e il mio team. Voglio farmi trovare pronto».
Matteo, i tre momenti della stagione in cui hai capito di aver fatto un ulteriore passo in avanti.
«Diciamo che Budapest e Monaco sono stati molto positivi, ho migliorato la classifica (da 54 a 31, ndr), però sono passi avanti che mi aspettavo, sapevo di avere quel livello. A livello emotivo il più importante è stato quello sull’erba. La consapevolezza di poter essere competitivo per tante partite di seguito su una superficie così difficile mi ha dato quella tranquillità e quella convinzione che poi mi sono servite per alzare il livello anche sul cemento, dove facevo più fatica. Poi chiaramente lo US Open, ma quello vale due passi»
È stato l’anno in cui hai aggiunto, alla più naturale «dimestichezza con il gioco sulla terra rossa, anche numerose prove importanti sull’erba e sul cemento, sia outdoor sia indoor. Ora che il quadro d’assieme è completo, se ti chiedessero di scegliere la superficie per giocare il match più importante della stagione, per quale opteresti? E perché?
«Veramente non lo so. Non ho più una superficie in cui mi esprimo meglio. E credo sia un bene… Direi comunque la terra veloce all’aperto o il cemento all’aperto, perché le mie caratteristiche, le mie rotazioni e le mie variazioni, si esaltano su queste superfici»
Fra i campioni presenti a Londra, quest’anno hai giocato con Federer e con Nadal, hai fatto 1-1 con Zverev e Thiem e hai perso (in un match comunque tirato) con Tsitsipas. Con Medvedev hai perso in tre set l’anno scorso. Non hai ancora giocato con Djokovic. Qual è il giocatore con cui vorresti subito rigiocare in queste Finals?
«Sono i migliori sette giocatori del mondo, mi vanno bene tutti, sceglietelo voi. L’unica cosa che sento è la voglia di misurarmi contro di loro. E credo di essere pronto a farlo».
Qual è quello che ti ha creato maggiori problemi tattici, o ti ha stupito di più?
«Roger, senza dubbio. Usa tantissime variazioni, fa sempre una giocata diversa, difficile da intuire. Non ti fa capire come fargli male».
E quello che ti ha sollevato le maggiori ansie?
«Addirittura ansie? No, nessuna ansia… Rafa ti fa sentire parecchio la sua presenza, con il suo agonismo, ma non è mai ansia, solo tensione di giocare match importanti. E con lui i match sono sempre importanti»
Permettimi una domanda che parta dalla mia esperienza… Ho cominciato a scrivere di tennis agli Internazionali del 1976, avevo poco più di 20 anni. E ricordo bene l’attesa e l’interesse che si crearono dopo quella vittoria di Panatta. Nei circoli sembrava di assistere a una sorta di “tennis minuto per minuto”, si sentiva chiedere in continuazione “sapete che cosa ha fatto Adriano?”. Questo stesso tipo di attenzione, e di partecipazione, di coinvolgimento, li sento anche oggi. “Sapete che ha fatto Matteo?”. Vorrei sapere se ne sei conscio, se avverti anche tu l’interesse che hai sollevato, e se lo trovi uno sprone o invece tendi a soffrirlo…
«Si, mi dicono che ci sia molto interesse, nel mondo del tennis e anche in generale. Stando poco in Italia è difficile rendersene conto di persona, ma intuisco che l’interesse sia alto, soprattutto adesso. Questo mi da tantissima energia, non mi mette assolutamente pressione, mi carica».
La prossima stagione… Ti concentrerai maggiormente sui grandi tornei, o darai ancora spazio ad alcune prove minori? E contro quali obiettivi ti piacerebbe misurarti?
«I grandi tornei saranno la priorità, ma sono importanti anche i tornei più piccoli. Dobbiamo mettere ancora tanto fieno in cascina, fare ancora tante esperienze su tutti i tipi di tornei. Non voglio mettermi obiettivi per l’inizio dell’anno prossimo, solo continuare a lavorare e a crescere».