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19 Giu 2019 08:55 - Interviste
L’erbivoro Berrettini e la voglia di Wimbledon: “Voglio scoprire su quei campi cosa ho imparato… “
Intervista esclusiva al tennista italiano del momento. Corre veloce, Matteo, e non solo sul campo. Ama quello che fa, e gli piace toccare con mano i progressi.
di Daniele Azzolini
Sorprendente. La prima definizione che ci viene data di Matteo Berrettini cade a pennello sulla sua svolta erbivora da 50 servizi giocati senza mai subire un break più titolo a Stoccarda, che lo ha fatto conoscere a tutta Italia. È firmata da Vincenzo Santopadre, il coach, l’uomo che lo segue da vicino e lo conosce meglio di chiunque. «Non dovrei dirlo, ma è così, certe volte mi sorprende, perché prepariamo dei piani di crescita e lui li assorbe con tale rapidità da costringerci in poche settimane a misurarsi con i successivi passi da compiere». Corre veloce, Matteo, e non solo sul campo. «Ama quello che fa, e gli piace toccare con mano i progressi», aggiunge il coach, ancora emozionato per le frasi che Matteo gli ha rivolto (in italiano) dal podio di Stoccarda. «È stato un colpo gobbo, inaspettato. Mi ha sorpreso una volta di più».
Matteo, l’unico che non sembra sorpreso sei proprio tu…
«Solo un po’, davvero… Da una parte sento che questi risultati rispettano il lavoro svolto, e non parlo della vittoria in sé, quanto della sicurezza che ho mostrato nei diversi momenti del torneo. Dall’altra, che dire?, non credevo di essere già in grado di vincere un torneo sull’erba. Però, ci sta. Insomma, me lo tengo stretto».
Di questo passo dovrai misurarti con un problema di notorietà. Ora tutti in Italia conoscono Berrettini… Ci avevi mai pensato?
«Ma dai, quale notorietà. Fanno piacere i titoli dei giornali, sento che l’attenzione nei miei confronti è cresciuta, ma da qui alla notorietà ce ne corre. E poi, lo sapete com’è il tennis, siamo sempre tutti a correre di qua e di là, non c’è tempo per occuparsi di certi aspetti. Ieri ero a Stoccarda, ora sono ad Halle, e il torneo che ho vinto è già finito in soffitta».
Intanto, sei diventato un erbivoro. È ufficiale. Ammettilo: l’erba ti ha definitivamente conquistato.
«C’è riuscita, è vero, lo ammetto, mi ha conquistato, sono diventato uno dei suoi supporter più appassionati. Che volete farci… L’anno scorso non era così, sentivo che il servizio funzionava molto bene, ma avvertivo un bel po’ d’impaccio nei movimenti. Ora tutto fila liscio. Santopadre mi ha fatto lavorare molto sulle superfici veloci, e ha avuto ragione. Poi c’è stata la parentesi sull’erba in Davis, a febbraio, e alla fine tutto è andato a posto. Anche il dritto e il rovescio hanno funzionato bene in questi giorni, e la fiducia via via è aumentata».
L’erba, si dice, è la più istintiva delle superfici. E tu? Come sei? Più pensieri o più istinto?
«Sto a mezza strada, e mi dispiacerebbe scoprirmi solo in un modo piuttosto che in un altro. Sono risorse da coltivare, credo. E non ritengo siano in antitesi. Non nel tennis, almeno. C’è il momento in cui conviene essere più calcolatori, e quello in cui è piacevole lasciarsi andare».
In effetti, contro Auger-Aliassime, in finale, sei stato un po’ l’uno e un po’ l’altro. Hai lasciato che i colpi partissero con leggerezza, ma nella parte finale del tie break sei riuscito a costruire un muro intorno al canadese.
«Vero? Lo penso anch’io. Sono molto soddisfatto della finale, anche perché Felix è talmente giovane che pochi ancora lo conoscono, ma è fortissimo, posso assicurarvelo. Ho tenuto duro, è stata una bella battaglia».
Dici spesso di sentirti a scuola. È un bel concetto, che ti fa onore. Ma a quale classe sei iscritto?
«Eh, diciamo che sono all’università, dai, altrimenti non potrei essere il numero 22 del mondo. Magari, sono solo uno studente al primo anno, ma qualche esame l’ho già dato e i risultati non sono stati malvagi».
Gstaad l’anno scorso, Budapest e Stoccarda quest’anno. Preferenze?
«E perché dovrei scegliere? La prima volta, la conferma e la sorpresa. Me li tengo tutti e tre».
Matteo, dici Wimbledon e a che cosa pensi?
«Alla voglia che ho di giocarci, e di verificare su quei campi ciò che so di aver imparato».