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14 Gen 2018 12:00 - Interviste
Kostyuk: “Ljubicic? Ora capisco quanto sia fortunata ad averlo accanto”
La quindicenne Marta Kostyuk, campionessa all'Australian Open 2017 junior, racconta le emozioni per la prima qualificazione Slam tra i professionisti: "Il momento più difficile? Nel primo match, da lì è cambiato tutto".
di Diego Barbiani
Quanto hai fatto è straordinario. Puoi raccontare come è stata tutta questa settimana?
È stata veramente difficile, non in termini di match ma di condizioni. Quest anno non posso dire che tutto è stato perfetto come lo scorso: condizioni meteo sempre diverse, pioggia, caldo, due giorni quasi di attesa per giocare la mia seconda partita… Abbiamo giocato indoor, nessuno di noi era pronto, non ci hanno neppure dato l’opportunità di allenarci indoor. Ho perso il primo set indoor 6-1 perché non riuscivo ad adattarmi a quella situazione: luci diverse, superficie diversa, suono diverso… Veramente dura.
Un qualcosa che ti abbia aiutato particolarmente?
Sono riuscita a stare calma in ogni match. Oggi durante il secondo set ero molto nervosa, anche troppo carica, ma all’inizio del terzo ho ritrovato la calma.
Quanto è importante questo traguardo sapendo che lo scorso anno qui hai vinto il torneo junior?
È speciale aver raggiunto il mio primo Slam qui, perché qui mi sento di poter giocare veramente bene. Quest anno ho giocato il primo turno di un ITF da 25.000 dollari e ho perso, ma pensavo: “ho giocato veramente bene”. In questo luogo posso giocare alla grande. È un po come sentirsi a casa, come se sentissi di poter fare qualsiasi cosa.
A livello di sensazioni appena sei arrivata?
Il mio primo allenamento è stata sulla Margaret Court Arena, mi hanno chiesto se avevo voglia di allenarmi, ho detto: “Chiaro!”. Però ho sentito subito che c’era qualcosa di diverso, il campo è più lento, e mi sono sentita diversa, ma davvero bene.
Tre partite, tre vittorie al terzo. Quale consideri la più difficile?
La prima, assolutamente. La più difficile: 38 gradi, in campo anche di più. C’è stato un momento in cui, nel secondo game del secondo set, ho pensato: “Io qui muoio”. Era caldissimo, gli scambi erano lunghissimi. In qualche modo ho vinto quel game e da lì in avanti è cambiato tutto, da lì in avanti è stato tutto molto più semplice fino a quasi la fine. L’ultimo game fu comunque tremendo (ride, nda).
Puoi raccontare dell’importanza di avere uno come Ivan Ljubicic dalla tua parte?
Prima di firmare il contratto, un anno e mezzo fa, non potevo capire cosa volesse dire lavorare con una persona come lui, parlare con lui, con la sua famiglia. Solo adesso, quando un mese fa mi stavo allenando all’accademia di Riccardo Piatti, ho realizzato quanto sia fortunata ad averlo al mio fianco. Quando è venuto a vedermi nelle mie partite, o quando lui mi dice qualcosa, non potetete capire come io possa sentirmi. Ivan Ljubicic mi sta dicendo qualcosa, anche semplicemente “dai Marta”, e io mi sento in grado di battere chiunque. È una sensazione magnifica. E me ne sto accorgendo solo ora che sono sempre più nel mondo del tennis”.
Sei la prima giocatrice del 2002 a raggiungere un main draw di uno Slam professionistico, che effetto fa?
Ogni anno batto qualche record, qualcosa… È un altro record, vado avanti. Non posso celebrare ogni risultato che raggiunto, è strano (ride, ndr). Non penso alla mia età quando gioco, ma so che grazie a quella ho tante opportunità. Posso giocare contro giocatrici molto più esperte e per loro non è facile, perché diventano tese nel momento in cui la partita si allunga. Non mi capita comunque di fare ragionamenti come “dai, ora vinci il primo game e l’altra si innervosisce perché oh mio Dio come posso perdere un game contro una quindicenne”. Normalmente durante la partita non pensiamo più di tanto se non a quello che dobbiamo fare. Io soprattutto, tanto è normale per me giocare contro persone di 15-20 anni più vecchie. L’età è nulla per me, la gente mi dice: “Lo sai che hai battuto una di 10 anni più giovane di te?”. Io rispondo: “Ok, quindi?”. Quando giochi gli under-14, lì l’età è veramente importante. Qui devi pensare soprattutto ad adattarti: tutti giocano contro persone di diversa età, essere giovani però può essere un vantaggio.
Tutto quello che ti sta capitando, sta accadendo velocemente o senti comunque sia parte di un percorso lungo?
Credo che questo processo di crescita sta andando tutto molto velocemente ma devo tener conto dell’age elegibility rule (le limitazioni al numero di tornei da disputare in base all’età, nda). Sono qui, pronta a giocare il mio primo Slam tra i professionisti, e non so quando potrà essere la volta del il mio secondo Slam. Per farlo devo avere i punti sufficienti e anche per via dei pochi tornei che potrò giocare sarà dura, ma cercherò di non pensarci perché se vado in campo pensando che devo vincere altrimenti il mio ranking non sale e avrò meno tornei a disposizione finirei solo per rovinarmi. Devo pensare invece a divertirmi”.
Dopo quest torneo continuerai con l’attività junior?
Qui giocherò qui solo in doppio. Non voglio giocare il singolo perché basta, basta coi tornei junior. Giocherò il doppio qui per avere l’accredito, voglio continuare ad allenarmi qui visto che mi fermerò in Australia fino a febbraio. Dopo sfrutterò qualche junior exempts per i tornei ITF visto che ho finito numero 2 del mondo lo scorso anno: ne avrò 2 per tornei da 60.000 dollari e uno per un evento da 80.000 dollari. Uno sarà per il torneo di Burnie. Poi giocherò la Fed Cup, poi uno per un torneo i Cina. Dovrei avere la chance di sfruttare almeno una wild-card per un torneo WTA, nelle qualificazioni, ma devo vedere. Per quello che riguarda comunque il mondo junior devo dire che il successo dello scorso anno per me è stato seguito da un mix di alti e bassi. La parte positiva è che ho vinto qui il primo Slam, ma da lì in avanti negli Slam i risultati erano terribili: perdevo sempre al secondo turno. Tutti mi dicevano che dovevo adattarmi a questa condizione, ma era molto difficile. Nei professionisti tu devi giocare per i soldi, nei junior no. Per me mentalmente era difficile, ho finito l’anno giocando tutti gli eventi perché dovevo, ma se mi avessero detto che dopo l’Australian Open avrei potuto staccare avrei detto “sì sì, assolutamente”. È stato molto duro. A Parigi le mie motivazioni erano ottime, ma ho perso subito. A Wimbledon ho giocato malissimo. Allo US Open già prima del secondo turno mi dicevo: “Va a finire che perdi, sicuro”. E insomma, ne ho collezionata un’altra. Tanta pressione per cosa? Per nulla, dunque basta, probabilmente non giocherò più junior d’ora in avanti”.