Negli ultimi periodi, per la prima volta in 16 anni di carriera, David Ferrer, originario di Javea, cittadina costiera della comunità autonoma valenciana, ha provato una sensazione nuova. “Non mi ritrovavo. Ho perso un mese, senza risposte”, dice con tono pacato il tennista, desideroso di volta pagina e buttare alle spalle un anno in cui il suo corpo non ha risposto ad una mente che ha sofferto. Chiuderà la stagione senza alcun titolo e con il numero più basso di partite giocate in una stagione, però con una lezione ben chiara. Non si arrende Ferrer, anzi tutto il contrario:”Ho ancora voglia, è chiaro. Il mio sport mi riempie ancora”, dichiara il valenciano, uomo schietto, sportivo di ferro ed appassionato lettore.
A metà stagione ha ammesso di sentirsi smarrito. Si è ritrovato?
Sì. Dopo Wimbledon è cambiato qualcosa e ho ricominciato a sentirmi di nuovo bene con me stesse, che è la cosa più importante. Poi puoi perdere o vincere, però ho ricominciato a star bene, soprattutto quando dovevo scendere in campo. Sono contento per come ho terminato la stagione, ma non posso esserlo dell’intero anno. Ho terminato al numero 20 del mondo. Però adesso sono tranquillo, accetto quello che è successo, vale a dire è la stagione con più sconfitte della mia carriera. In fondo è una cosa normale, qualcosa che doveva succedere, perché per tutti gli sportivi arriva questo momento.
Ma cosa è successo?
La mia carriera era stata molto stabile per molti anni ed è stato difficile. Sono stato regolare per molto tempo e ho gestito bene la pressione, però a volte ti prende un poco più di ansia e non accetti certe cose. Devi superarle e comprendere di dover andare avanti. Ci sono momenti complicati nella tua vita professionale e personale e dobbiamo imparare da questi ad essere migliori. È stato semplicemente questo.
A Nadal è accaduto qualcosa di simile nel 2015. Perché in questo momento, quando siete dei veterani?
È così. Quanta più pressione hai tanto più resti al vertice, l’obbligo di vincere è maggiore. È un carico costante e, quando lo porti per molto tempo, ti si ripercuote per intero nel corpo e nella mente. C’è bisogno di staccare o fermarsi ad un certo punto. Ti senti insicuro e triste in queste situazioni nuove, però devi affrontarle. Questo è quello che mi è successo. È arrivato un momento ho perso il concetto di competere, ho perso la mia essenza.
Ha provato in qualche momento il desiderio di ritirarsi?
Mi sono sentito perso per due-tre mesi ed è qualcosa che non mi era mai capitato. Ad altri tennisti è successo, però per me era la prima volta. Mai avevo convissuto con questa sensazione. Mai mi ero sentito incapace di lottare per le partite. Ho sentito una differenza profonda: ho sempre lottato per la vittoria e in questo caso lottavo per dovere, per pura inerzia.
E invece adesso?
Sono il numero 20 del monto e mi vedo con piacere e voglia, che è la cosa più importante. Ho ancora motivazione per vincere altri titoli e sentire emozioni in campo. Per esempio in Coppa Davis. Credo ancora in me posso ancora dare di più. Se non fosse così resterei a casa, perché nessuno mi obbliga né a viaggiare né a giocare. Mi mancano la mia famiglia e la mia gente, però le sensazioni che mi trasmette questo sport riescono ancora a compensare.
Il tennis richiede grandi sacrifici quotidiani. Quanta voglia resta a David Ferrer?
Ho avuto momenti bui nei quali non ti senti forte tennisticamente, ma non ho pensato di smettere. Mi vedo ancora bene e ne approfitto. C’è un alto scotto da pagare, perché non è facile convivere con un tennista, per quanto viaggia, anno dopo anno. Non è facile per il tuo partner sopportare una vita così, però è quello che hai sempre fatto e che ti fa sognare. Ho ben chiaro che non si può tornare ad esser giocatore ed a provare quello che senti in campo, per questo voglio farlo fino in fondo.
Quando parlano di Ferrer, quasi sempre fanno riferimento al fisico, come se d’altra parte non avesse un gran livello di gioco. Cosa ne pensa?
Essere numero tre del mondo essendo solo forte fisicamente è impossibile. Il talento alla fine può avere molte sfaccettature. Io sono orgoglioso della mia carriera e anche di quel che pensa la gente. Alla fine, che ti considerino una persona che supera i suoi limiti, che lotta come un guerriero, è molto positivo. Sono aggettivi molto positivi. Non mi lamento, per niente. Sono veramente soddisfatto, di quello che ho, della mia carriera e della considerazione della gente. Ovviamente ci saranno alcuni a cui piaci più e alcuni a cui piaci meno, però lo accetto e lo metto in conto.
Molti sportivi fanno fatica a scegliere il momento in cui chiudere la propria carriera. Lei come lo vede?
Non posso parlare per gli altri. Però nel mio caso credo che non sarà così, perché io sono ancora un giocatore di tennis (ride). Nella vita si deve guardare avanti e la mia vita tennistica finirà, però nella vita hai molte altre cose da fare. Ci sono molte altre cose che mi fanno sognare. Fino a quel giorno voglio mettercela tutta, perché sono ancora appassionato, però quando arriverà quel giorno voglio stare con i miei cari e viaggiare meno, o farlo per piacere, per conoscere nuovi posti e fare cose diverse.
Qual è l’eta ideale, il punto in cui il tennista trova il perfetto equilibrio?
Dipende dalla maturità mentale di ciascun giocatore. Ci sono giocatori come Rafa, Djokovic, Andy, Roger, che sono unici, perché a 19-20 anni già avevano una maturità che altri non avranno mai, nemmeno a 35 anni. Ci sono giocatori speciali. Ci sono poi giocatori che si costruiscono poco a poco e che maturano, come nel mio caso. A 25 anni top 10, numero cinque del mondo, però a 30 anni è stato il culmine della mia carriera a livello fisico e mentale.
Se potesse rinascere, le piacerebbe essere un tennista professionista o preferirebbe dedicarsi ad altro?
Questa domanda è difficile. Se mi dicessi di tornare indietro di un solo giorno ti direi di no (sbuffa). Ho lavorato tantissimo per arrivare ad essere quello che sono e per conquistare quello che ho conquistato, tornare a sacrificarmi, uno sforzo così grande…. Sono contento di quel che ho fatto. Nel caso si potesse tornare indietro non inciamperei negli stessi ostacoli e tutto sarebbe più facile, però gli errori mi hanno fatto imparare. Però no, se tornassi indietro probabilmente farei un’altra cosa. Però ti dico un’altra cosa: il tennis mi ha dato moltissimo.
Si dice che il tennista di solito si guarda troppo l’ombelico. È d’accordo?
Negli sport individuali, di per sé, si può essere più egoisti. Questo dipende da ciascun giocatore e dall’educazione che ha ricevuto. È chiaro che il tennis è uno sport individuale e per questo devi guadagnarti da te il diritto a competere e anche a superare l’avversario. Questo sport ha molti valori: il rispetto, l’umiltà, aiutando i colleghi in momenti non buoni, condividere tanto tempo con altri tennisti. Alla fine credo che in questo mondo ci sia una rivalità sana.
E che mi dice del suo amico Nadal? Alcuni si interrogano sulla sua carriera.
È in top 10 e ancora va bene. Credo che Rafa ha ancora possibilità di vincere tornei del Grande Slam. In questa stagione, quando stava meglio, si è infortunato. Però perché bisogna pensare al suo ritiro? Perché non tornerà numero 1? Se il suo sport lo rende felice… Nel bene e nel male, funziona così: quando le cose vanno bene tutto è perfetto, perché siamo male abituati, però quando non vanno tanto bene… Né quando sei al vertice né quando sei in crisi devi fare critiche. Ci deve essere un giusto mezzo. Alla fine chi deve decidere se vuole continuare o fermarsi è proprio lo sportivo, perché è il suo lavoro. È come se io lo dicessi a qualcuno che fa un altro lavoro, vuoi perché ha un periodo non positivo o scrive un pezzo non buono, che deve lasciare il suo lavoro. È la stessa cosa.
Per finire, che libro ha tra le mani ora?
Sto leggendo “Gli eredi della Terra”, la seconda parte de “La cattedrale del Mare”, di Ildefonso Falcones. L’ho comprato solo un paio di giorni fa e l’ho letto mentre ero in treno.
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