di SALVATORE SODANO Queste grandi competizioni internazionali a squadre al femminile, la prima fondata nel 1923 come “Wightman Cup”, equivalente della “Coppa Davis”, con nuovi format e denominazioni, si disputano da oltre un secolo. La prima, che prendeva la denominazione dal nome della grande signora del tennis americano Hazel Wightman, fu disputata sin dal 1923 […]
TENNIS – Di ROSSANA CAPOBIANCO – Dopo quattordici lunghi anni oggi Roger Federer non figurerà più tra i top ten nella classifica mondiale ATP; da quell’ottobre 2002 a questo 7 Novembre 2016: un mondo che cambia, una realtà diversa. Come e dove eravamo? E che Federer sarà?
Mille anni al mondo mille ancora ,che bell’inganno sei anima mia e che bello il mio tempo che bella compagnia
Anime salve in terra e mare, in queste giornate furibonde in cui tutto cambia e si trasforma, in questi tempi di passaggi, passaggi di tempo. Forse è stato tutto un inganno, una fantasia collettiva prolungata, spietata come gli occhi della memoria, che chissà se basta ancora. Basterà forse a riempire gli anni che come in questi mesi profumeranno di nostalgia e vuoti da colmare. Un giorno, non ancora.
Una giornata che doveva arrivare, un tempo che proietta le immagini di un pezzo importante della nostra vita come “As time goes by” in Casablanca , quando Sam canta per Ilsa Laszlo.
Il 2002: entrano legalmente in circolazione monete e banconote in Euro, Gaetano Badalamenti viene condannato all’ergastolo per l’omicidio di Peppino Impastato, l’Inter di Gresko e Ronaldo perde in maniera rocambolesca lo scudetto all’ultima giornata a Roma, il mondiale di calcio in Corea e Giappone viene “rovinato” per l’Italia dall’arbitro Byron Moreno, le scosse di un violento terremoto in Molise dell’8º grado della Scala Mercalli causano il crollo di una scuola a San Giuliano di Puglia, uccidendo 27 alunni e un’insegnante, la Russia vince la sua prima Coppa Davis, battendo in finale la Francia.
In tutto questo Roger Federer, un promettente ragazzo svizzero che sfoggia un’orgogliosa collanina da spiaggia anni ’90 e qualche brufolo post-adolescenziale, entra nella top 10 per la prima volta. Lui (e tutto il resto del mondo) non avrebbe mai potuto immaginare che ci sarebbe rimasto consecutivamente 735 settimane consecutive (il record appartiene comunque a Connors con 788), ovvero quattordici lunghissimi anni pieni di Slam, record, gioie e star system.
Quattordici anni in cui l’intero tennis è cambiato: le superfici, i materiali, i punti ranking, le strategie di gioco. Le generazioni.
Tutto tranne Roger Federer: lui è sempre rimasto lì. A prendersi la gloria promessa, a rispettarla e renderla immortale. A creare curve mai immaginate, carezze e sberle ad una pallina trovata sempre in tempo, a non tirarsi indietro di fronte a nessuna sfida: nemmeno quella crudele del tempo, che va, eccome se va.
Più di tutto ad amare questo sport, prendersene cura: perché Roger Federer ama giocare a tennis tanto quanto ama promuoverlo, parlare ai media, fermarsi a chiacchierare e far foto con i fan, organizzarlo e cercare di migliorarlo da Presidente del Council ATP. Niente è mai passato inosservato: sono infatti tredici gli anni in cui lo svizzero vince consecutivamente il Fan’s Favourite Award e molto probabilmente il premio sarà suo anche in questo anno a mezzo servizio.
Nel 2002 non c’erano Facebook, Twitter, Instagram, Snapchat, ii social erano ancora una chimera e gli smartphone non esistevano: eravamo tutti più giovani e ignari di quello che ci aspettava, nella vita come nel circuito. Sampras era al suo ultimo anno, Agassi vivacchiava con qualità e meno continuità ma con ancora in serbo il colpa di coda finale, Hewitt e Safin sembravano gli unici giocatori solidamente presenti a cui far affidamento per gli anni a venire. Roddick sarebbe stato lì a ricevere ogni castigo del Dio che sarebbe arrivato. Forse anche Federer tornerebbe a quattordici anni fa, per ripercorrere anni sul campo da protagonista, tra tentazioni di racchette spaccate e impassibilità auto-imposta.
Il 2002 per Federer fu anche un anno di dolore e svolte: il primo agosto di quell’anno morì in un incidente stradale il suo storico coach d’infanzia, l’australiano Peter Carter, in viaggio in Sudafrica per festeggiare la guarigione della moglie da un brutto cancro. Il destino, crudele come il tempo. Le coincidenze, spietate come quello che non torna. Roger però tornò dal Canada in fretta e in furia per partecipare ai funerali di Carter in Svizzera, dove Peter viveva da quasi vent’anni ormai. Fu un momento cruciale di un anno fondamentale per Federer che da lì in poi mise da parte capricci e insoddisfazione per focalizzare tutte le sue energie sul tennis perfetto (a lungo bramato) che avrebbe poi messo in mostra.
2016, anno in cui tante cose giungono al capolinea: presenze consecutive negli Slam, alle Finals, infortuni seri che arrivano e adesso anche l’arrivederci alla top ten. Un arrivederci, forse non un addio perché Federer è fiducioso di tornare competitivo, malgrado gli anni siano 35 e la stabilità del ginocchio durante un match professionistico ancora un’incognita: la qualità del suo tennis è però talmente alta che difficilmente non riuscirà a tornare nell’Olimpo; certo ci vorrà un po’ prima che tornnoi fiducia e ritmo partita. Prima che senta di nuovo l’odore del sangue, che si senta pronto a vincere.
Oggi ci siamo svegliati e tante cose sembrano scricchiolare sotto i piedi: c’è un nuovo numero uno del mondo, che arriva in un anno in cui il regno di Djokovic sembrava indistruttibile. E c’è anche la nostalgia di quel nome che non vediamo quando guardiamo a quella classifica, pronti ad accusare l’ATP di un’imprecisione davvero grave: invece no, è tutto vero, accanto al nome “Roger Federer” c’è un numero diverso, un 16. Prima degli Australian Open potrebbe diventare 19 o 20, perché Roger giocherà solo la Hopman Cup – che non regala punti – prima di Melbourne e perderà dunque i 150 punti di Brisbane 2015.
“Il problema sarà degli altri se tornerò al 100 %”. Quel “se” rimane ancora un “se”, ma questi quattordici anni dovrebbero rassicurarci in merito.
mi sono guardato piangere in uno specchio di neve
mi sono visto che ridevo
mi sono visto di spalle che partivo
E perché questo quattordici anni non saranno niente, quel giorno, di fronte ad un nuovo smarrimento.