Raccontando Indian Wells: Nobu, il giapponese ingombrante sul campo 2. Lunga vita a Fish (e Neil Diamond)

TENNIS – Dal nostro inviato ad Indian Wells Diego Barbiani

Nel tour è famosa la terrazza di Monte Carlo, dove i più facoltosi si sollazzano durante le partite del campo centrale tra un sorso di champagne e qualche fetta di caviale. Alla O2 Arena di Londra, nel livello intermedio ai due anelli c’è il ristorante dei vip.

Ad Indian Wells, invece, l’altissimo Mr. Oracle in arte Larry Ellison, un uomo appartenente alla cerchia ristretta di chi guadagna soldi solo alzandosi dal letto, ha dato vita a Nobu, un ristorante giapponese (parte dell’omonima catena) enorme, ingombrante, che sostituisce circa metà dell’anello superiore del campo 2. A vederlo fa impressione per quanto sia esteso, chissà se almeno il sushi vale la vista panoramica su uno dei campi migliori dell’impianto…

Nella giornata che visto Thanasi Kokkinakis e Borna Coric riportare i teenager alla vittoria ad Indian Wells dopo quattro anni (nel 2011 ci furono Tomic ed Harrison) ecco invece la storia di un ragazzo come tutti noi: aveva due gambe, due braccia e respirava. D’un tratto, ha visto passargli davanti il colpo che poteva garantirgli quei quindici minuti di popolarità che Andy Wahrol ha predetto per ognuno di noi. Andreas Haider Maurer, impegnato sul campo 3 proprio contro Coric aveva appena steccato un dritto in uscita dal servizio e la palla, dopo essersi impennata, è caduta a candelotto sulle tribune. Questo ragazzo ha alzato il braccio, ha preso al volo la pallina. Negli Stati Uniti questo gesto è visto come un numero da urlo, se ci riesci sei un fenomeno. A testimoniarlo ci sono gli applausi giunti da ogni lato delle tribune. Costui, dopo aver velocemente ringraziato, ha rigettato la palla in campo. Un pazzo. Non l’avesse mai fatto: le urla di giubilo si sono trasformate presto in urla di disapprovazione. Nessuno voleva crederci. Gente che si metteva le mani tra i capelli, chi alzava a sua volta le braccia speravo di ricevere la pallina appena “scartata” dal ragazzo che si guardava intorno come a chiedersi come mai.

Sempre in quella partita, c’era però un fenomeno vero: Mohammed Lahyani. Un giudice di sedia che raccoglie più apprezzamenti rispetto ai giocatori, possibile? Sì, eccome. Durante il riscaldamento lo speaker ha cercato di stuzzicare proprio il pubblico presentando Lahyani così: «Non servono altre parole, Mohammed Lahyani!». Era lui la vera star. Poco da aggiungere.

Infine, una considerazione: lunga vita a Mardy Fish. Rivederlo in campo ha fatto un grande effetto, quasi da dimenticare i gravi problemi al cuore che negli ultimi anni lo hanno portato a rischiare la propria vita. Due anni di stop e quasi riusciva a battere Ryan Harrison.

Un Harrison ancora molto discontinuo ed impreciso, che da metà del secondo set è calato tanto come spinta e lucidità e nonostante un terzo set quasi sempre al comando, si è trovato costretto ad annullare due match point. Sul 5-4 Fish 15-40, tutta la sala stampa era incollata alla vetrata che dà sul campo centrale augurandosi che l’ex n.7 del mondo concretizzasse uno dei due punti. Per alcuni è stata toccante la standing ovation che gli hanno riservato all’uscita dal campo, mentre tra i tifosi in giro per l’impianto la risposta più bella è stata: «Fish deserved every single joy from his life».

Nella giornata dei rientri, Serena Williams si è ripresentata ad Indian Wells dopo quattordici anni. C’è talmente tanta voglia di rivederla giocare qui in California che quella conferenza stampa si è trasformata presto in una giungla, dove prendeva la parola per fare la domanda chi riusciva a sovrastare gli altri nei primi tre-cinque secondi che seguivano la conclusione della risposta della statunitense. Serena sembrava apprezzare quell’interesse così forte, la tecnica con cui conduceva le risposte era impeccabile. Per dire che avverte la tensione ed il nervoso per l’esordio di domani ha scelto con cura le parole: «Non ti starei dicendo esattamente la verità se ti dicessi che non ci saranno. Onestamente, ero nervosa anche solo al pensiero di essere qui. Ho passato un giorno in più a Los Angeles, continuavo a dirmi di non essere ancora pronta, ma è una cosa che devo superare». Alla fine sei di fronte a lei che dice questo accennando ad un tenero sguardo, sistemandosi i capelli e ci sta che in fondo tu possa pensare a quanto sia tenera, salvo passare immediatamente alla figura della tigre quando scende in campo con la stessa cattiveria con cui ha affrontato il secondo set della finale di Melbourne.

Infine, un appunto al deejay del campo 2: magari “Waka waka” tra un set e l’altro no, dai. Molto meglio Neil Diamond che canta “Sweet Caroline”, riproposto al cambio campo a metà del terzo set tra Bethanie Mattek Sands e Taylor Townsend. #SweeeeeetCarolineeeee

 

 

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