Lo sport ha la responsabilità di combattere la violenza di genere. Con i suoi valori paritari e la sua risonanza mediatica, lo sport ha una voce per fare la differenza. Ha una voce per iniziare il cambiamento. Oggi ce la fanno sentire uomini e donne, schierati insieme contro ogni forma di durezza e diversità. Oggi che, […]
TENNIS – Dal nostro inviato ad Indian Wells Diego Barbiani
Fermarsi qui? Non se ne parla neanche. Ad Indian Wells da anni ormai stanno apportando modifiche sempre più intelligenti per rendere la location, il torneo, l’organizzazione tra le più apprezzate in assoluto dai giocatori.
L’altro giorno Flavia Pennetta aveva dichiarato: «Questo torneo per noi giocatori è straordinario, abbiamo 20 campi almeno su cui poterci allenare e l’albergo a due minuti in macchina». Quest anno hanno rinnovato il campo 2, hanno reso possibile il collegamento in streaming sui campi d’allenamento, hanno messo uno schermo sopra ogni campo d’allenamento «così i fan non dovranno più chiedersi: “Chi si sta allenando qui?”. Basterà controllare lo schermo poco più in alto ed avranno subito la risposta». Forse nessuno di loro si farà questa domanda se vedrà Roger Federer, Rafael Nadal o Novak Djokovic, ma basta prendere la via dei campi più periferici, vedere un uomo con il braccio tatuato e già si potrebbe perdere l’orientamento. Guardando sullo schermo, ci si accorgerà che ad allenarsi in quel momento è Andreas Haider Maurer.
Quest anno è storico, perché ha alzato ulteriormente il numero di spettatori presenti abbattendo di circa 25.000 persone il muro del precedente. «Siamo felici di annunciare – ha dichiarato Raymond Moore, direttore esecutivo del torneo – che quest anno il numero di spettatori è di oltre 455.000. 439.000 fino a ieri, ma per oggi abbiamo venduto tutti i 16.000 biglietti a disposizione».
La vera novità annunciata per gli anni a venire, però, è la volontà di costruire un terzo stadio permanente che, assieme al ristorante costruito sullo Stadium 2 possa garantire all’impianto una continuità per tutto l’anno. «Noi vogliamo costruire uno stadio a tema: uno stadio-museo. Abbiamo già fatto tanto in termini di permessi ed approvazioni con le autorità locali. Siamo pronti a partire, aspettiamo solo l’ultima parola che è di mister Ellison ma ha già detto che ci farà sapere a breve. Sarebbe un investimento pazzesco, avere un museo sarebbe allo stesso tempo una miglioria enorme. Wimbledon ha un museo, il Roland Garros ha un museo, ma loro non hanno uno stadio-museo». Probabilmente, però, ci potrà volere qualche anno prima di vederlo erigersi all’interno dell’impianto: «Come tutte le cose, ha una sua tempistica e noi non vogliamo affrettare i tempi. Innanzitutto vediamo cosa dice mister Ellison».
La cittadina di Indian Wells, piuttosto chiusa e riservata (basti pensare che i vari vicinati sono tutti racchiusi in una cinta muraria), come si mostra nei confronti del torneo? «Sono molto cooperativi, ci hanno permesso di costruire lo Stadium 2 senza mai ostacolarci». Per costruire lo Stadium 2 ci sono voluti dieci mesi e dieci giorni «perché abbiamo voluto inserirci il ristorante che occupa tre settori del secondo anello, per lo stadio-museo ci potrebbe volere molto meno anche perché più piccolo, attorno ai 4500-5000 posti».
Anche a Newport sono famosi per un museo, la Hall of Fame. «Niente di simile, magari si creerà una collaborazione in futuro, noi però vogliamo creare qualcosa che diventi un simbolo di Indian Wells. Una parte sarà sicuramente dedicata alla storia di questo torneo, con tutti i vincitori di questi splendid quarant’anni nel deserto. Questo, ad esempio, non ha niente in comune con quello del Rhode Island».
Ad Indian Wells, però, il futuro non parla solo di tennis. «Vorremmo riportare qui il basket, questo per la passione generale di tutti verso questo sport. Quest anno qui si stanno svolgendo molti eventi di tennis amatoriale, abbiamo eventi nazionali USTA, però vogliamo ampliarci anche sotto questo aspetto».
Lo stadium 2 sarebbe perfetto per un incontro di Coppa Davis o Fed Cup. La struttura, la sensazione di vicinanza al campo da ogni posizione, renderebbero lo spettacolo qualcosa di veramente coinvolgente. «Ci pensiamo ogni anno – confessa – il nostro problema è che per motivi climatici l’unico periodo veramente favorevole sarebbe quello in cui si gioca il primo turno (in inverno la temperatura si aggira sui 25-30 gradi, ndr)». Poi già dal secondo il rischio è qui le temperature siano troppo alte e non si possa organizzare mentre l’eventuale finale, per regola, in Coppa Davis deve essere giocata indoor. «Purtroppo per noi, il primo round si gioca sempre mentre noi siamo nel pieno dei lavori per preparare l’impianto. Incominciamo i primissimi giorni di gennaio a farlo».