Lo sport ha la responsabilità di combattere la violenza di genere. Con i suoi valori paritari e la sua risonanza mediatica, lo sport ha una voce per fare la differenza. Ha una voce per iniziare il cambiamento. Oggi ce la fanno sentire uomini e donne, schierati insieme contro ogni forma di durezza e diversità. Oggi che, […]
TENNIS – Di Davide Bencini – Testardo, orgoglioso, duro e sempre pronto alla sfida. Con quel carattere un po’ istrionico, ma sempre slavo e, perché no, un po’ italiano che si ritrova, non c’era nemmeno da chiedersi quanto tempo ci avrebbe messo Nole a trovare un modo per ribadire al mondo chi sia il numero uno, chi sia il più solido giocatore del circuito, chi sia colui che comanda. In poche parole chi sia, in questo 2015, il più forte. Senza ombra di dubbio.
Lo ha fatto dopo una lezione di tennis subita a Dubai su un campo che forse favoriva più il suo avversario, che al contrario di ieri su quel terreno poteva trovare più soluzioni in un giorno in cui sarebbe stato capace di far spuntare torte dalla sua Wilson. Ritrovandoselo subito di fronte a contendergli un altro trofeo avrebbe potuto avere dei dubbi e più pressione addosso e invece ha vinto forse in un modo ancora più convincente, per come si erano messe le cose dopo quel tie break buttato al vento a suon di servizi da cottolengo. Vincere partite come quelle di domenica, quando si passa cioè dalla perfezione all’insicurezza per poi ritrovare il filo e rendersi improvvisamente conto di non avere mai rischiato davvero di perdere, ti può davvero far comprendere il solco che sei in grado di scavare rispetto al gruppo che insegue; un gruppo che vedi con il binocolo dietro di te, con un caffè in mano, quando giochi come sai e che riesci a dominare con il minimo sforzo anche quando le cose non vanno proprio per il verso giusto, soprattutto se poi il tuo avversario non gioca il suo miglior tennis.
Questione di margine. Una finale che può far capire a tutti che se giochi al 100% tanto vale per l’avversario pagare il biglietto e sedersi in tribuna; una finale che rende l’idea di come, senza la partita della vita, un dritto che gira a mille o un rovescio che fa i buchi in terra, con questo Djokovic non hai speranza. E adesso quello che si chiedono in molti è: sarà così per tutto l’anno? Può arrivare Nole dove nessuno dal 1969 è mai arrivato? Ieri Nole ha dato ancora una volta a Federer (e ricordiamo che parliamo del numero due del mondo) la dimostrazione che i match, a differenza di come lo svizzero dichiarava fino a un paio di anni fa, non dipendano più solo da lui. Ha fatto il bello e il cattivo tempo, portando l’avversario, in giornata così così, dove voleva lui. Sempre margine, e consapevolezza di averlo. Nel primo set e mezzo ha rasentato livelli da Robonole 2011 e per certi versi si intravedono, nell’annata che è cominciata, molte somiglianze anche di risultato con quella stagione quasi perfetta.
Eppure, per un insieme di fattori, questo 2015 sembra poter diventare anche migliore di quella splendida cavalcata che lo issò alla vetta del mondo. Intendiamoci, il Robonole versione 2.0 sembra ancora avere qualcosa in meno rispetto al suo predecessore. Non avrebbe perso quel tie break, non si sarebbe fatto recuperare due volte da un break di vantaggio… Eppure questo Djokovic sembra avere dei vantaggi che la sua versione pluripremiata del 2011 non aveva. Quali? Primo fra tutti proprio il fatto di non sembrare quella macchina perfetta della quale tutti sembrano aspettare da un momento all’altro il corto circuito. Il Nole 2011 non batteva gli avversari; li distruggeva. Questo Djokovic magari è più umano, più falloso e più vulnerabile, eppure ha più controllo dei suoi nervi, non ha bisogno di ricorrere a sparate disperate a occhi chiusi e riesce a portare sempre il match sul suo ritmo, sopperendo a volte a una giornata meno brillante con tanti piccoli accorgimenti che minano la scurezza di chi gli sta davanti. In secondo luogo non ha bisogno a tutti i costi di dominare i match, ma si è fatto più attendista, aspettando il momento giusto per dare la zampata. Ovvero, gestione di quel margine.
Per finire, con tutto il rispetto, gli avversari che ha davanti non sono certo quelli del 2011. Federer sembra poter creare dal nulla ancora lampi di classe infinita, eppure dà sempre la sensazione di arrivare alle fasi finali un po’ scarico, pagando quei 6 anni di differenza; Nadal è ben lontano dalla forma migliore e affidandosi al fisico solamente troverebbe in questo momento un altro super atleta davanti a sé; Murray probabilmente Nole sta già cominciando a sognarselo anche la notte, visto che ormai in ogni match contro di lui finisce per non capirci più nulla. Gli altri non arrivano, o semplicemente non esistono, oppure hanno già dato.
Stando così le cose non si riesce a capire, Rafa permettendo, lui storico grande guastatore di grandi slam, chi potrà soffiare quest’anno a Nole non solo un Roland Garros dove probabilmente arriverà da stra-grande favorito, ma anche gli altri restanti slam dove ha già trionfato e dove nemmeno il miglior Federer nel recente passato ha saputo tenergli testa. Paradossalmente proprio lui potrebbe essere il suo peggiore avversario, come già successo due anni fa a Parigi a un passo (o a un tuffo) da quella vittoria su Nadal che gli avrebbe consegnato l’unico slam che tutt’ora gli manca.
Sarà diverso? Il Nole di quest’anno sembra avere due grossi compagni rispetto a quello di 4 anni fa: la pazienza e le circostanze, quella congiunzione astrale che accompagna a volte i più grandi e che ti fa trovare nel posto giusto al momento giusto, pronta a ridarti magari quello che la sorte beffarda ti ha tolto quando meno te lo aspettavi. Magari Nole sarà perfetto, magari non lo sarà, ma in giornate come quella di ieri potrà sempre trovare il modo di portare a casa il bottino e proprio perché in passato la perfezione da sola non è bastata, portandolo a crearsi quel qualcosa in più che ora come ora lo mette sopra a tutti.