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TENNIS – di Federico Parodi
L’alba della nuova era del tennis azzurro, rinfrancato dalle straordinarie vittorie di Fabio Fognini e Andreas Seppi contro gli ex cannibali del tennis mondiale, Rafa Nadal e Roger Federer, riabbraccia anche un ritrovato Simone Bolelli, capace di battere per la prima volta in carriera un top ten come Milos Raonic, dopo 35 match e 6 anni piuttosto complicati.
Da principe bello ed elegante a brutto anatroccolo. Dai riflettori puntati addosso al buio di una crisi che sembra infinita. Nel 2008 Bolelli è la speranza del nostro tennis, che è alla disperata ricerca di un giocatore moderno dal servizio potente e dal talento cristallino. Il bolognese pare essere l’identikit perfetto, il campione in rampa di lancio destinato a riscaldare i cuori degli appassionati. Quando Simone si presenta agli Internazionali d’Italia, reduce dalla prima finale ATP sulla terra di Monaco persa contro Fernando Gonzalez, c’è già chi parla – anche nomi illustri del passato – di “giocatore da top-10”. In effetti, il ragazzo di Budrio non scherza. Chiude l’anno tra i primi 50 del mondo e a febbraio 2009 raggiunge il best ranking (n.37). A quel punto tutti sono in attesa della consacrazione, dei primi acuti, del definitivo salto di qualità.
Niente di tutto questo. Simone non regge la pressione e fa il passo del gambero, all’indietro. Terzo turno a Monte-Carlo e poco altro in quella che doveva essere la stagione della svolta. Decisamente troppo poco. A maggio si separa da Claudio Pistolesi, che lo seguiva da più di tre anni. Una scelta che i due prendono di comune accordo, nella speranza, più che nella convinzione, che sia il compromesso migliore per la sua crescita. Nemmeno il matrimonio con la modella uruguayana Ximena Fleitas e la nuova collaborazione con Riccardo Piatti riescono a scuotere il “Bole”, ormai quasi impaurito dalla sua stessa ombra. Dopo il terzo turno sul cemento di New Haven, Bolelli va in completo black out, inanellando cinque sconfitte in altrettanti primi turni. Il World Tour va in vacanza e per Simone è manna dal cielo per ricaricare le batterie in vista di tempi migliori.
Ma anche nella stagione successiva i risultati tardano ad arrivare: diventano addirittura 14 le sconfitte consecutive al primo turno, spesso da giocatori semisconosciuti. Simone esce dai 100, classifica che lo costringe a scomodi turni di qualificazione e a sempre più frequenti sortite nei challenger. Perde fiducia e voglia di lottare, raggiungendo un punto di non ritorno nel mese di marzo, sulla terra di Rabat, quando crolla in 1 ora e 20’ contro lo spagnolo Adrian Menendez-Maceiras, allora n. 219 del mondo. A fine anno saluta Piatti, che non può coccolarlo come Simone vorrebbe perché spesso impegnato a seguire un certo Ivan Ljubicic. In ottica 2011 sposta la propria base a Tirrenia, sotto le direttive di Renzo Furlan, un esperimento che funziona solo a metà. I primi mesi sono molto difficili, ma la vittoria nel torneo di doppio di Monaco con Horacio Zeballos agisce da palliativo. Accede al main draw del Roland Garros (sconfitto da Andy Murray al secondo turno), si ripete a Wimbledon, dove ottiene una delle vittorie più belle in carriera su Stan Wawrinka, prima di arrendersi nel match di terzo turno con Richard Gasquet. A Umago arriva un altro titolo in doppio, questa volta con Fabio Fognini. La coppia italiana raggiunge anche le semifinali agli Us Open, facendo le prove generali per la Coppa Davis e il delicato spareggio con il Cile, che ci riporta nella massima serie del mondiale della racchetta dopo undici anni dall’ultima apparizione.
Le gioie in doppio e Coppa Davis cancellano in parte le delusioni del singolare, ma la strada è ancora tutta in salita. Prosegue nel frattempo la girandola dei coach: al suo angolo arriva Pablo Martin, sostituito soltanto pochi mesi più tardi da Simone Ercoli. Tentativi su tentativi per provare, una volta per tutte, a cambiare marcia. Simone si sente sotto accusa. Non bastano i due titoli challenger, a Florianopolis e Recanati, il quarto di finale a Kitzbühel e il ritorno a fine 2012 nella top-100. Media e tifosi cominciano a perdere la pazienza, manifestando una crescente insoddisfazione per quel giocatore un po’ Dottor Jekill e un po’ Mister Hide, capace di alternare momenti di tennis sublime a pause incomprensibili. Ma il “Bole” è testardo, non si lascia distrarre dalle dicerie della gente, vuole dare segnali sul campo. E il 2013 sembra essere l’anno della riscossa. A San Paolo fa semifinale, eliminando gente tosta come Tommy Robredo e Juan Monaco, mentre il doppio con Fognini funziona a menadito (semifinale a Melbourne e secondo titolo a Buenos Aires). Si presenta a Miami con buone sensazioni e una classifica che inizia finalmente a sorridere anche in singolare. Ma proprio quando s’intravede un piccolo spiraglio di luce in fondo al tunnel, la sfortuna si accanisce sulle sue già residue certezze. Il polso destro fa crack nel match con Grigor Dimitrov. Dopo alcune settimane di trattamenti prova a rientrare al Roland Garros, ma si ritira nel match di primo turno con Lu. Fa un nuovo, disperato, tentativo a Wimbledon, dove, ironia della sorte, incrocia nuovamente Dimitrov. È una sconfitta senza appello. Simone, che ha cercato in ogni m
odo di evitare lo spettro dell’operazione chirurgica, è costretto ad arrendersi. Stagione finita e arrivederci al 2014.
Quando torna a giocare dopo sette mesi si ritrova oltre la trecentesima posizione del ranking (ad aprile è numero 367). Con uno staff tutto nuovo, formato da Umberto Rianna e Giancarlo Petrazzuolo, cerca l’ennesima risalita, un’impresa impossibile agli occhi di molti. Eppure, il 2014 sarà un anno entusiasmante. Innanzitutto in Coppa Davis, dove l’Italia, trascinata da Simone nel più che collaudato doppio con Fognini, torna in semifinale dopo sedici anni. Gli azzurri fermano la propria corsa a Ginevra, in casa della Svizzera di Roger Federer e Stan Wawrinka, dove Corrado Barazzutti schiera Bolelli nel primo match di singolare contro l’ex numero uno del mondo. Perde, ma con onore, a testa alta. Il tennista emiliano gioca la sua miglior stagione dal 2008. Porta a casa quattro titoli challenger (Bergamo, Vercelli, Tunisi, Oberstaufen), scalando posizioni su posizioni e tornando ad assaporare le sfide del circuito maggiore. A Wimbledon, dodici mesi dopo l’ultimo match prima dell’operazione, eliminato Philipp Kohlschreiber in cinque laboriosi set, arriva a un passo dagli ottavi di finale, più volte a due punti dalla vittoria nel quarto parziale contro Kei Nishikori prima di cedere al quinto. Ma quel che più conta è che il “Bole” è di nuovo un giocatore vero. La classifica a fine 2014 parla chiaro e rende giustizia al suo talento: una rimonta che sembrava impensabile fino a pochi mesi prima l’ha riportato tra i primi 60 del mondo (n. 55).
Bolelli ha raggiunto la quadratura del cerchio, che nel gergo sportivo fa rima con continuità di risultati. Lo storico trionfo in doppio agli Australian Open con Fognini e il successo di Marsiglia su Milos Raonic sono solamente due pietre miliari nel processo di crescita del tennista bolognese. Ora che Seppi è tornato a correre sui livelli che gli competono e anche Fognini sembrerebbe (con lui il condizionale è d’obbligo) in netta ripresa, potremmo divertirci sul serio nei prossimi mesi. Sì, perché il nuovo Simone Bolelli è un bell’asso nella manica per il tennis azzurro, un giocatore completo, in grado di fare risultati su qualsiasi superficie. Forse è troppo presto per sbilanciarsi, ma alla soglia dei trent’anni il “Bole” è maturato per davvero e difficilmente getterà al vento i sacrifici degli ultimi anni. D’altronde, l’aveva detto lui stesso nel momento più difficile: «Se riesco a risalire sul treno del tennis che conta, non lo mollo più, potete giurarci». Nel tennis che conta è ritornato in pianta stabile dopo un lungo peregrinare. Ora è il momento di mettersi alla prova, di programmare, di chiedersi fin dove può evolvere una carriera che è già andata incontro a tante delusioni e promesse mancate. Gli obiettivi a breve termine sono vincere il primo titolo ATP e migliorare il best ranking del 2009, poi si vedrà… Ma quando hai un talento fuori dal comune e a esso abbini una bella dose di testardaggine niente sembra impossibile.