Ivo Karlovic, l'età non è che un numero

TENNIS – Di Piero Vassallo

Ivo Karlovic festeggerà i 36 anni con un titolo in più in bacheca: a Delray Beach ha vinto il sesto torneo ATP in carriera, diventando il giocatore più anziano a trionfare dai tempi di Jimmy Connors, campione a Tel Aviv a 37 anni suonati.

Quando Ken Rosewall batteva in tre set Malcom Anderson e conquistava il suo quarto (e ultimo) Australian Open aveva spento 37 candeline giusto due mesi prima, ritoccando il record di anzianità di un campione Slam già stabilito allo US Open del 1970 e ribadito pochi mesi dopo a Melbourne nel 1971. Ben presto sarebbe arrivato il momento dei baby campioni, con Borg a fare da apripista ai vari Wilander, Becker, Chang e Edberg. Oggi invece l’età media del tennis ha di nuovo alzato l’asticella, portando tanti giocatori over 30 a ottenere risultati spesso migliori di quelli collezionati in gioventù.

Ivo Karlovic di anni ne compirà 36 proprio domani, ma a dispetto di un tennis sempre più muscolare e dai ritmi frenetici, di farsi da parte non vuole proprio saperne e con la sua attuale ventitreesima piazza nel ranking può vantarsi di essere il giocatore più anziano tra i primi 50 del mondo. E se ci riesce, molto lo deve ai suoi 211 centimetri che gli permettono di servire un numero abnorme di ace a partita. Proprio la sua altezza smisurata e il suo servizio-bomba sono i principali motivi di interesse verso questo ragazzo di Zagabria che fino ai 24 anni ristagna intorno alla duecentesima posizione in classifica, penalizzato da un fisico troppo mastodontico da portare a spasso per il campo. La svolta arriva in un “normale” pomeriggio sul centrale di Wimbledon, al primo turno pesca il campione in carica Lleyton Hewitt: Ivo perde 6-1 il primo set, poi bombarda l’australiano e lo manda a casa vincendo i successivi tre parziali. E’ la vittoria che lo lancia verso il tennis che conta e verso l’ingresso tra i primi 100 del mondo.

Nel 2005 arriva la prima finale ATP della carriera, persa in due tie break sull’erba del Queen’s contro Andy Roddick; dopo un periodo di flessione nel 2006, causato anche da noie al ginocchio, torna a lucido nel 2007 vincendo tre tornei su tre superfici diverse: sulla terra di Houston si prende il primo titolo in assoluto, fa il bis sull’erba di Nottingham e sul veloce indoor di Stoccolma cala il tris che lo porta vicinissimo alla top 20, un muro che sfonderà l’anno dopo arrivando a toccare un best ranking che recita numero 14. Fino al 2012 si tiene a galla con qualche buon piazzamento, ma la sensazione è che sia ormai in fase calante, inizia a perdere posizioni in classifica e ad aprile del 2013 vive la più grande paura della sua vita.

Dopo la sconfitta al primo turno contro Denys Molchanov al Challenger di Sarasota è costretto a cancellarsi dall’entry list del torneo di Savannah a causa di un non precisato malessere, ma pochi giorni dopo viene ricoverato d’urgenza in ospedale a Miami. Le notizie si susseguono: dapprima si parla di ictus, poi si sospetta che il problema sia stato causato dal morso di un insetto. La diagnosi definitiva è meningite virale, il padre ipotizza un addio al tennis, senza però fare i conti con la tenacia di Ivo, seconda soltanto alla sua simpatia (per chi avesse dubbi, basta farsi un giro sul suo profilo twitter). Gli bastano poco meno di tre mesi per tornare in campo e sorprendere tutti: centra subito i quarti a Newport e una settimana dopo vince il titolo di Bogotà battendo in finale l’idolo di casa Alejandro Falla.

A 34 anni dimostra di essere tutt’altro che un giocatore sul viale del tramonto, grazie al suo gioco basato sull’uno-due e a una capacità di tocco spesso troppo sottovalutata regge il confronto con i giocatori più giovani. Nel 2014 raccoglie scalpi importanti come quelli di Berdych, di Cilic fresco campione Slam e soprattutto di Grigor Dimitrov in un bellissimo match giocato sul campo 1 del Roland Garros. Si è ripetuto quest’anno vincendo a Doha contro Djokovic numero 1 del mondo, prima di travolgere di servizi vincenti i suoi avversari sulle spiagge della Florida. A Delray Beach infatti non ha mai perso il servizio e ha chiuso la finale con un ace, il suo marchio di fabbrica: ne ha messi a segno più di 9000 in carriera e la sensazione è che non abbia affatto intenzione di smetterla.

 

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