di SALVATORE SODANO Queste grandi competizioni internazionali a squadre al femminile, la prima fondata nel 1923 come “Wightman Cup”, equivalente della “Coppa Davis”, con nuovi format e denominazioni, si disputano da oltre un secolo. La prima, che prendeva la denominazione dal nome della grande signora del tennis americano Hazel Wightman, fu disputata sin dal 1923 […]
di LORENZO DI CAPRIO – TENNIS. Tentennante, scarico, talvolta svogliato: se la settimana californiana di Novak Djokovic dovesse assumere obbligatoriamente qualche connotato ben preciso, prenderebbe senza troppe riflessioni queste caratteristiche. Ma siamo sicuri che si possa parlare di “bicchiere mezzo pieno” et similia?
Partiamo, senza tergiversare, dall’unica certezza a noi disponibile: Djokovic, che dir si voglia sul “come”, ha vinto il Master 1000 di Indian Wells e lo ha fatto contro un Roger Federer degno di questo nome, a tratti commovente per voglia e colpi dall’estetica iperuranica. Senza voler entrare troppo nel dettaglio, lo svizzero ha nuovamente dimostrato di avere ancora i mezzi fisici e – soprattutto – mentali per poter competere con tutti e dovunque, rispolverando una brillante gestione degli scambi (grazie, Stefan) finalizzata alla chiusura nel breve termine. Il tennis ed i suoi appassionati ringraziano.
Ad ogni modo, un Federer da 8 in pagella non è bastato per superare un Nole… camaleontico: il serbo era partito male, troppo per competere anche solo lontanamente con uno stellare Roger. Prima di servizio assente, seconda da circuito WTA e molte imprecisioni nello scambio: dopo 30 minuti a parlare chiaro era il 6-3 a favore dello svizzero ed il 39% di punti vinti con la seconda per Djokovic (quasi la metà rispetto al 71% di Federer).
Per un gioco vaneggiante, però, c’è una mente solida come i bei tempi che consegna al serbo un paio di set solidi e – per la qualità dell’avversario – anche piuttosto comodi: il numero due al mondo ha reagito cambiando radicalmente intensità a partire proprio dal servizio. La prima ha iniziato a portare punti diretti e non, lasciandogli spesso il pallino del gioco. Federer, d’altra parte, non ha potuto che rispondere come poteva e – spesso – remare indietro, subendo quel lavoro ai fianchi risultato poi decisivo. Inoltre, Djokovic ha gestito con freddezza inaudita i momenti decisivi e chiuso senza troppi patemi un tie-break finale tutt’altro che scontato (il break ottenuto sul 5-4 del terzo aveva decisamente galvanizzato Federer).
Una vittoria importante, certo, ma da prendere con i piedi di piombo: questo, resta per Djokovic un periodo di transizione dal quale potremmo individuare numerosi alti e bassi. Non è un caso se Indian Wells è arrivato dopo soli due tornei disputati nel 2014 (Melbourne e Dubai) e zero tornei conquistati (non avveniva dal 2006). Nella speranza che Il ritiro sul Monte Kopaonik (luogo dove i genitori di Nole gestivano un ristorante e quest’ultimo ha colpito le prime palline) avvenuto nel post Australian Open sortisca – anche alla lunga – l’effetto desiderato, Nole può andare a Miami con la consapevolezza di aver eseguito magistralmente il proprio spartito e – ora sì – guardare anche qualcosa in più del “bicchiere mezzo pieno”.