Quale forma ha l’acqua? In verità l’acqua prende la forma che le viene data, perché si sostiene che non ne abbia davvero una tutta sua. Proprio come un liquido, incapace di acquisire una sola forma, il tennis di Jannik Sinner fluisce, si adegua a ogni foggia o situazione. Scorre inesorabile ignorando gli ostacoli e procede […]
Di Federico Mariani
Ernests Gulbis ha battuto Jo Tsonga e conquistato l’Open 13 di Marsiglia mettendo il suo quinto titolo in bacheca. Vince e convince il lettone al termine di due settimane magnifiche dove solo un grande Berdych ha saputo tenergli testa.
Febbraio è senz’altro un mese a lui caro, dato che tre dei cinque tornei vinti dal lettone sono arrivati in questo periodo. Prima di Marsiglia, si era aggiudicato per due volte il 250 di Delray Beach.
La sensazione è quella che i campi indoor, specie se molto veloci come il tappeto marsigliese, siano l’habitat naturale del talento lettone che, con questo successo, va a bissare il titolo conquistato lo scorso autunno a San Pietroburgo. Lungo tutto il corso del torneo Gulbis è stato praticamente ingiocabile al servizio con percentuali da capogiro. Dai quarti alla finale non è mai sceso sotto l’85% di punti vinti con la prima in campo (con Mahut e Gasquet la percentuale era addirittura superiore al 90%). Il rovescio è la solita arma impropria, con cui il lettone ha un timing ed un anticipo favolosi tanto che ci sono momenti in cui si ha la netta sensazione che su quella diagonale sia invulnerabile.
La pecca resta il diritto, un problema non da poco. C’è però da dire che, dopo la drastica modifica del movimento improntatagli da Pilic, ha acquistato maggiore sicurezza.
Ampliando il discorso all’ultimo anno, si è assistito ad una crescita notevole di Gulbis: il giocatore di Riga sta pian piano coltivando il suo talento, diventando più giocatore e meno “colpitore”, iniziando ad avere la tendenza a vincere i match che deve vincere, prerogativa per arrivare e rimanere ad alto livello.
La classifica al momento recita numero 18. Non è certo ancora quello che il suo potenziale merita, ma almeno si sta avvicinando ai primi quindici del mondo e ciò gli consente di avere quasi la certezza di essere testa di serie nei tre Slam che restano da giocare da qui alla fine dell’anno. A ben vedere, sono proprio i Major l’ultimo step da fare per Ernests in quanto non ha mai brillato particolarmente nelle quattro prove regine: troppo lontani i quarti di finale raggiunti a Parigi nel 2008, così come gli ottavi di New York la stagione precedente.
Ogni volta che si vede giocare Gulbis quando è ispirato come quello visto in queste due settimane, vengono subito in mente due sentimenti tra loro contrastanti: se da una parte c’è una gioia riconciliante nel vedere coadiuvate meravigliosamente potenza e perfezione stilistica, dall’altra invece inquieta il fatto di sapere che quello stesso giocatore è stato fino ad ora troppo incostante. E’ il solito discorso del talento e della sua applicazione, che non sempre vanno di pari passo.
Per questo motivo, ogni volta che uno come Gulbis riesce ad esprimersi in pieno, sotto sotto ci si illude sempre un po’, sperando che questa o quella vittoria siano in grado di far fare quel fatidico salto di qualità. Quasi sempre, però, le illusioni restano tali.
Ernests vuole provarci a dimostrare di essere più di un figlio di papà che maltratta uno smisurato talento, come i suoi tanti detrattori lo hanno etichettato. Ora che ha trovato una continuità di rendimento accettabile e soprattutto le giuste motivazioni, Gulbis può vivere finalmente una stagione da protagonista, una mina vagante di lusso pericoloso per tutti, nessuno escluso.