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14 Gen 2014 12:48 - Australian Open
Down Under: l'Australian Open, un "phon" sparato in faccia
di Luigi Ansaloni
di LUIGI ANSALONI
Il biglietto da visita degli Australian Open è un phon per i capelli sparato in faccia per tutta la giornata senza pietà. Una sensazione che non ti dice esattamente “benvenuto a Melbourne, caro mio”, piuttosto “hai volato 24 ore e 3 scali per vederti il tennis? Non basta. Ora stattene in sala stampa e non ti lamentare”. Una fornace, nel vero senso della parola. E tu che vieni dall’Italia ti senti spaesato.
E il Belpaese non è il paese più freddo del mondo, e la Sicilia men che meno. Ma niente, non c’è veramente paragone, non si può capire se non si sente quel phon nella pelle. E per fortuna che non è umido, ma secco. Consolazione, piccola.
A peggiorare le cose vedi poi gli australiani che quasi ci sguazzano, in mezzo a questa fornace. Loro rendono “Happy” ogni cosa: “Happy Slam”, sono “happy” quando ti vedono, con quei sorrisi a 596 denti che tu, abituato a ben altro, vorresti quasi ricacciarglieli in bocca, ‘ste cose bianche. Ma la loro forza, il loro bello, è proprio questo: rendere speciale ogni cosa. Anche il phon, anche il caldo, anche la fornace. E’ ancora troppo presto forse per parlare di tennis, e men che meno si può parlare di sport e di tennis con 43 gradi all’ombra: semplicemente, non si gioca. Anche se le immagini televisive dicono altro, non è umano prendere a racchettate una palla con queste temperature. Poi però vedi gente che corre, che non si dà per vinta, che si danna come ci fossero 10 gradi. E ti senti ancora più inadeguato all’umana stirpe. “Eh ma loro sono atleti, sono abituati, sono allenati”, ti ripeti. Ma è un prendersi in giro: hai la stessa età della maggior parte di loro ma trovi “intollerabile” uscire dalla sala stampa per andare a cercare un bancomat. Ti fa amare di più lo sport, il tennis, la vita, ma la fornace ti fa sentire pure un vecchio bacucco che nemmeno un attento studio del passaporto ti può convincere del contrario.
Ci sarebbe la leggendaria “Extreme Heat Rules”, la regola del “troppo caldo per giocare”, introdotta nell’ormai lontano 1998 (provata nel 1997) che dovrebbe entrare in vigore quando si superano i 40 gradi, ma anche qui ci sono delle varianti che la fanno scattare o meno, come ad esempio l’umidità, il vento e compagnia bella. In parole povere, la applicano quando va a loro. Poi però succedono delle cose tipo che Dancevic stramazza in campo svenuto nemmeno fosse un cavallo, la Radwanska pretende (giustamente) che sulla Hisense si chiuda il tetto, la Peng che vomita in campo, Stepanek che si ritira.
Per il resto, phon a parte, le prime sensazioni sono quelle degli altri anni. Ma è ancora troppo presto. C’è in giro la sensazione che questo torneo non sarà come gli altri, che qualcosa succederà. Fornace permettendo, non ci resta che scoprirlo…