Australian Open: è un Dimitrov da leccarsi i baffi

Di Lorenzo Di Caprio

MELBOURNE. «Non saremo mai come voi / Non saremo mai come voi, siamo diversi / Puoi chiamarci se vuoi / Puoi chiamarci se vuoi ragazzi persi / La vita lontana da ogni cliché / Cercala è dentro di te».

No, non è parte di un sonetto dedicato a Grigor Dimitrov: loro sono i Tre Allegri Ragazzi Morti, nella scena alternative italiana hanno un peso piuttosto notevole e ci piace pensare che, nella stesura del testo di Mai Come Voi, abbiano immaginato un po’ anche ad uno con la faccia da adolescente, il talento cristallino e… la sfortuna dei paragoni.

Perché, per quanto soddisfacente e lodevole, essere paragonati al proprio idolo Roger Federer può essere anche controproducente: Dimitrov lo sa bene, ne ha pagato a caro prezzo le conseguenze ma dopo aver eccessivamente imitato in maniera – quasi – pedestre le movenze dello svizzero potrebbe svoltare pagina. Già da questo Australian Open.

Come? Partiamo dal dato principale, quello da cui tutto dipende: il numero 22 del mondo Grigor Dimtirov è al terzo turno degli Australian Open dopo aver superato senza troppi patemi lo statunitense Klahn e – soprattutto – il giocatore di Taipei (ma allenato dall’italiano Roberto Antonini) Yen Hsun Lu, che solo poco più di una settimana fa aveva fatto finale ad Auckland battendo – tra gli altri – David Ferrer. Ad ogni modo, al di là di quanto di buono suggeriscono le vittorie, ciò che ha sorpreso maggiormente del bulgaro “nuova versione” è stata la costanza di rendimento (suo storico cruccio), ma più in generale la piena concentrazione dimostrata nel corso dei match: se nel passato all’oretta di ottimo tennis seguiva spesso e volentieri un harakiri di dimensioni più o meno corpose, ora il nativo di Haskovo gestisce in tutt’altro modo il proprio talento cristallino e le periodiche “sfuriate” che esso regala. Strettamente collegato a questo, poi, influisce positivamente sul resto del gioco il footwork: quello che prima era il tallone d’Achille di un Dimitrov piuttosto goffo in corsa e spesso fuori posizione, infatti, è apparso nettamente migliorato e garantisce al bulgaro un’ottima stabilità nei colpi. Non è un caso se i vincenti superano gli errori non forzati e la varietà di soluzioni a disposizione del bulgaro disinnescano molte armi dell’avversario.

Merito della GTG Tennis Academy di Stoccolma, capeggiata da Norman e lasciata a sorpresa da Dimitrov intorno alla fine della stagione, e di Roger Rasheed: l’ex coach di Hewitt, Monfils e Tsonga – allenatore di Grigor da ottobre, appunto –  sembra aver già fatto notare la sua presenza nel complicato modus operandi del bulgaro, tanto lontano da quel tennis fisico e monocorde quanto consapevole delle enormi difficoltà da superare al fine di imporre definitivamente il proprio gioco, ancora troppo simile – ma solo per ambizioni – a quello che gli appassionati cercano per un degno erede di Sua Maestà Roger Federer (perché hai voglia a snobbare, ma si ritorna sempre lì).

Confronti a parte, l’Australian Open potrebbe essere perfetto per concretizzare il salto di qualità e vedere – finalmente – appieno la classe di quel Dimitrov che tanto ha fatto parlare del suo talento, anche se tra Grigor e la gloria c’è un tortuoso tabellone già a partire dal terzo turno: in una sfida tra due delle maggiori speranze del tennis mondiale, infatti, Dimitrov e Raonic si giocheranno una fetta di stagione oltre che gli ottavi. I due confronti precedenti – tutti sul cemento – parlano di una vittoria per parte. Sbilanciarsi appare quindi impossibile, ma una cosa è certa: i prossimi anni di ATP dipendono anche – e soprattutto – da loro.

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