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02 Dic 2013 05:36 - ATP
Road to 2014: Nadal, il riposo (apparente..) del guerriero
di Stefano Semeraro
di STEFANO SEMERARO
Anche quando i corpi esigono un giustificato riposo, le idee non si stancano mai di girare. La stagione del tennis si è chiusa da un paio di settimane ma già sono scattati i progetti, i programmi, le pianificazioni per il 2014. A lanciare la carica è quel martello di Toni Nadal, lo zio-coach, che ha già inchiodato il futuro prossimo del nipotino ad un obiettivo mica da ridere.
«Io non metto mai Rafa su un piedistallo perché è uno di famiglia, altrimenti dovrei riconoscere che è uno dei più forti tennisti di sempre», ha spiegato il parente più famoso del circuito all’indomani dell’ennesima stelletta guadagnata dal numero uno del mondo, quello di “miglior sportivo spagnolo della storia» secondo il quotidiano “Marca” (davanti o ad Indurain e Pau Gasol, chissà il povero Alonso come l’ha presa). Ma proprio perché Nadal non è ancora immobilizzato su un piedistallo suo zio gli ha apparecchiato già il prossimo compitino in vista della laurea in Immortalità. «La sfida del 2014 sarà vincere gli Australian Open, perché se ci riuscirà eguaglierà Rod Laver, l’unico che in carriera abbia vinto almeno due volte tutti i quattro tornei dello Slam». A dire il vero non è proprio così, visto che fra il 1961 e il 1967 l’impresa riuscì anche a Roy Emerson, vincitore di sei titoli in Australia e di due a testa nei rimanenti tre Majors. In doppio fra l’altro “Emmo” gli Slam li ha vinti tutti almeno tre volte, ma i suoi erano altri tempi. I professionisti erano ancora banditi (come del resto al tempo del primo Slam di Laver, nel 1962), il doppio contava quasi come il singolare, e poi i record non erano ancora diventati un’ossessione. «Mi sono ricordato di aver vinto 12 Slam solo quando qualcuno mi ha detto che Pete Sampras aveva battuto il mio record», racconta spesso Emerson, campione vero e persona gradevolissima.
Oggi invece i record sono pervasivi, invadenti un po’ come le ricorrenze, a volte pare che contino solo loro, in questo sport ormai ridipinto dal business, e non le vicende agonistiche a tutto tondo. Detto questo se Rafa, che in Australia ha vinto solo nel 2009 (contro gli 8 trionfi a Parigi, i due a Wimbledon e i due agli Us Open) riuscisse nel colpaccio, avrebbe sicuramente fatto un grande passo in avanti nella coscienza degli statistici. Il “Doble Slam” è davvero impresa titanica, il segno di una grande continuità e adattabilità. Un tempo tre Slam su quattro si giocavano sull’erba, oggi le superfici sono almeno tre (cemento, erba, terra rossa) e si è aggiunta anche la variabile “indoor” causata dall’impianto dei tetti retrattili a Wimbledon e agli Australian Open. Per completarlo servono talento, grinta, intelligenza e anche un pizzico di fortuna. Al di là delle sterili discussioni su chi sia il GOAT, il miglior tennista di sempre, alcuni traguardi danno una misura dello spessore “universale” di un giocatore: i due Grand Slam di Laver, le 23 semifinali Slam consecutive di Federer (statistica per me ancora più impressionante dei 17 Slam vinti), i 21 anni trascorsi fra il primo e l’ultimo titolo Slam di Ken Rosewall, le tre doppiette consecutive Parigi-Wimbledon di Borg, l’en-plein di Andre Agassi, l’unico che in bacheca ha almeno un trofeo di tutti gli Slam, la Coppa Davis, la medaglia d’oro in singolare alle Olimpiadi e la coppa del Masters. Un secondo centro di Rafa a melbourne fra un paio di mesi forse non lo congelerebbe su un piedistallo, ma di sicuro lo trasporterebbe, in ottima compagnia, sullo scaffale più alto della storia.