E' un tennis… vietato ai minori

Di DANIELE MALAFARINA – È difficile emergere da giovani. È un tennis vietato ai minori… Nadal, Djokovic e anche Del Potro sono state le ultime eccezioni. Oggi un ragazzino che diventa professionista verso i 17 o 18 anni deve aspettarsi 3 o 4 anni di dura gavetta prima di poter entrare nei primi cento, quando trent’anni fa se non eri Top 100 a 18 anni significava che non eri abbastanza buono.

Ma gli anni Ottanta e Novanta dei campioni teenager, rappresentano un’eccezione, prima si poteva vincere anche in età avanzata e negli anni Settanta non erano pochi i campioni ultratrentenni. È stato verso la fine degli anni Novanta che si è verificata la fase di assestamento che ha originato l’odierna inversione di tendenza.

I giovani, una rarità

Per rendere l’idea pensiamo all’età dei giocatori tra i primi 100. Oggi il più giovane è Jiri Vesely, numero 86, nato nel luglio ‘93. È l’unico ventenne. Sotto di lui il solo under 20 nella top 200 è Nick Kyrgios, 18 anni, numero 188.

L’ultimo capace di chiudere l’anno nei top 100 prima dei 19 anni è stato Nishikori, nel 2008, gli ultimi capaci di chiudere l’anno nei top 100 a 17 sono stati Nadal e Gasquet nel 2003. Per confronto se nel decennio 2003-2012 solo due under 18 hanno chiuso l’anno nei primi 100 (Nadal e Gasquet appunto), il decennio 1981-1990 ne ha contati 12.

Guardando più indietro del 1980 si trovano comunque dei ragazzini nei primi 100 (Borg 17enne nel 1973, per esempio) mentre l’età media dei veterani si alza drasticamente (Rosewall competitivo oltre i quarant’anni negli anni Settanta). Quindi si può dire che l’età di pensionamento per un tennista si è abbassata dopo gli anni Ottanta e solo recentemente ha ripreso a salire. Allo stesso modo l’età di affermazione ad alti livelli è scesa fin verso la fine degli anni Ottanta per poi ricominciare a risalire.

Solo i più forti emergono

L’età media dei 5 più giovani tennisti nei primi cento è salita da poco sotto i 18 anni dei primi anni Ottanta ai 21 e più di oggi. Scorrendo i nomi dei più giovani top 100 anno per anno è impossibile non notare come molti siano futuri campioni, a indicare che comunque a emergere prima erano solo i più forti.

Per contro l’età media dei 5 più vecchi nei primi cento non è cambiata così significativamente. Si aggirava intorno ai 33 anni nei primi anni Ottanta, è scesa fino a circa 31 nella metà degli anni Novanta per poi risalire di nuovo ai 33/34 odierni. Inoltre, si nota immediatamente come i nomi di campioni siano pochi, a ribadire che essere forti non aiuta necessariamente a essere longevi.

Come detto l’età media dei più anziani nel circuito è salita ma non poi così tanto. Quello che è cambiato è il numero di ultratrent’enni nei primi cento, che sono diventati molti di più mentre il numero di giovani è diminuito. Il numero di Under 21 nei primi 50 raggiunge il massimo verso la fine degli anni Ottanta per poi decrescere fino ad azzerarsi mentre il numero di Over 30 nei primi 50 del mondo decresce fino alla metà degli anni Novanta per poi crescere fino a ora. 

Ma oggi ce ne sono di più

Stesso discorso per le vittorie nei tornei, dal 1980 a oggi solo 4 over 35 hanno vinto un torneo, di cui tre nell’ultimo decennio (Connors nel 1988, Agassi nel 2005, Santoro nel 2008 e Haas quest’anno). Quindi tennisti competitivi oltre i trent’anni ce ne sono sempre stati. Oggi ce ne sono di più e vincono di più. Questo lascia intuire come la preparazione fisica odierna possa agevolare una carriera lunga. L’allungarsi della carriera, unito alla maggiore esperienza, dà ai tennisti stagionati un piccolo vantaggio sui più giovani e inesperti che quindi faticano a emergere.

Più vecchi, più forti

Ma quali sono le motivazioni di questo allungamento della carriera e della difficoltà a emergere per i giovani?

L’argomento più diffuso quando si parla dell’innalzamento dell’età media riguarda l’aspetto fisico. Nel tennis di oggi la componente fisica è fondamentale, molto di più rispetto a un paio di decenni fa. Questo da un lato rallenta i giovani, che necessitano di più tempo per raggiungere la piena maturità fisica, e dall’altro agevola i veterani, dato che metodologie avanzate per un’ottimale preparazione fisica sono oggi disponibili a tutti i top player mentre in passato erano prerogativa di pochi.

Se alla componente fisica (grazie alla quale un trentenne di media classifica oggi è più competitivo rispetto a trent’anni fa) si aggiunge quella mentale, ovvero l’esperienza ad alto livello, si capisce come per un giovane risulti sempre più difficile ritagliarsi uno spazio di rilievo.

Ma certo la componente fisica non può essere l’unica spiegazione. Un altro fattore è dato dalla competitività del tennis moderno in cui il livello medio, anche per giocatori di bassa classifica, è molto più alto rispetto al passato. Da un lato abbiamo uno sport più competitivo con più praticanti, dall’altro i primi 100 del mondo sono sempre 100 ed entrarvi è più difficile. Occorrono più qualità per portarsi al vertice e chi le possiede di solito ha gli strumenti per restarci.

A queste considerazioni probabilmente va aggiunto un altro fattore. Ovvero la maggiore difficoltà di accedere ai punti per la classifica. Oggi abbiamo in genere un pool punti per la classifica che facilita i big. Ci sono meno tornei e i tornei minori assegnano in genere pochi punti. Per contro i tornei con più punti in palio, quelli più importanti, hanno sempre tutti i big al via e finiscono per rendere molto difficile a un giovane fare i punti necessari per salire.

Un tennis conservativo

Da quest’analisi emerge come il tennis moderno sia più “conservativo”, anche senza le classifiche biennali proposte da Nadal, rispetto a trent’anni fa. Un tennis con meno sorprese, meno alternanza di nomi nuovi e meno variazioni ai vertici della classifica. 

Non stupisce quindi che l’età media si innalzi. Oggi i tennisti affermati sono quelli più preparati per restare al vertice e nel contempo sono quelli più tutelati contro l’arrivo di nomi nuovi.

 

(*) Da sempre collaboratore del sito di Ubaldo Scanagatta,

Daniele Malafarina ha scritto questo articolo per la rivista

Matchpoint, che lo ha pubblicato sul numero di ottobre.

Lo riproponiamo oggi sul nostro sito per la validità dell’analisi

condotta, precisando però il ruolo di “special guest” dell’autore.

 

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