Fognini, un “Fab Io” al tempo dei Fab Four

Ha vissuto il tennis più grande che si sia visto, in un mondo popolato da Fabolous, che sono stati il suo orgoglio e la sua fragilità. Fab Tre, Fab Quattro, c’è chi ne ha contati fino a cinque. Lui sarebbe stato il sesto, se solo uno Slam gli avesse regalato un approdo in semifinale, o in finale. Non è successo, pazienza, verranno gli anni in cui Fabio Fognini riuscirà a metterci una pietra sopra, se non l’ha già fatto. E ora che è qui, di nuovo a Wimbledon, per annunciare al circuito, e forse anche a se stesso, che la sua vita non vivrà più di tennis sul campo, voglio fargli sapere che tutti i tennisti italiani,  quelli della nidiata ricca e fortunata che è sbocciata dopo la sua vittoria a Montecarlo, la prima in bianco rosso e verde in un Masters 1000, ritengono di dovergli moltissimo. E io lo considero ad honorem uno dei Fab, per le doti tecniche che solo Federer poteva vantare, e per i match folli e bellissimi che ci ha fatto vivere. Un Fab a modo suo, “Fab Io”,  ma di conio purissimo e sorretto da una trama preziosa.

Non credo sia importante ricordare le sue mattane, anche se molti lo faranno. Molte (non sempre) erano esagerazioni a margine di situazioni nelle quali le ragioni erano dalla sua parte. Altre erano maschere per nascondere la propria emotività. E nessuna di esse l’ha aiutato, tutto quello che c’era da pagare, Fabio l’ha pagato in prima persona. Preferisco ricordare i match che hanno portato il pubblico ad applaudirlo fino a spellarsi le mani. Quello con Andy Murray in Coppa Davis a Napoli, costruito sulla sapienza tattica e sul gioco a tutto campo. E quello contro Nadal a New York, nel 2015, quando recuperò due set e piegò Rafa al quinto, la prima volta che lo spagnolo perdeva dopo aver condotto così largamente. Sfida di scambi assatanati e conclusioni miracolose, con il braccio di Fabio in serata spettacolare. Era l’anno in cui Flavia, di lì a poco sua moglie, avrebbe vinto gli US Open per poi annunciare il proprio ritiro. Fognini ha resistito dieci anni in più, sfidando la carta d’identità. Chiude oggi, a 38 anni. E lo fa dopo un ultimo match giocato sul filo di un tennis di altissimo livello, in primo turno contro Alcaraz, al quale ha mostrato uno a uno tutti i segreti del mestiere. Cinque set di tecnica antica, ma di angoli e velocità modernissimi.

«Una sconfitta che vale molto», racconta, sorridente, all’apparenza rilassato, «quasi come una vittoria. Per la soddisfazione che mi ha dato, per lo scenario nel quale ha preso forma, il Centre Court, per le congratulazioni che ho ricevuto da tutto il tennis, ma più di tutto perché la mia famiglia era lì con me. Ho voluto essere onesto con me stesso: dopo quella prestazione, su quel palcoscenico, non voglio tornare a giocare in qualche Challenger, perché è questo che la mia classifica mi permette. Ho avuto la fortuna di giocare in una delle ere che entrerà nella storia, ho giocato con Roger, Rafa, Nole, per me vincere uno Slam era impossibile. Mi è mancato un buon risultato nei Majors, ma sono contento di quello che ho ottenuto».

Una vittoria in un “1000”, nove successi nel circuito, la Top Ten (unico fra gli italiani) sia in singolare, al numero 9, sia in doppio, disciplina che l’ha visto vittorioso a Melbourne 2015 e poi numero 7 del mondo. «Sentivo di aver lasciato qualcosa in sospeso. Sono stato a casa, mi sono dedicato ai figli a tempo pieno, poi ho deciso di tornare a Wimbledon per salutare tutti quanti. Credo sia il miglior modo di dare l’addio. Flavia è stata la prima a ritirarsi dal tennis nel momento migliore, ha avuto coraggio, non è facile dire basta. Ho parlato con lei due giorni fa, mi ha risposto che qualunque decisione avessi preso, sarebbe andata bene. Mi sarebbe piaciuto arrivare fino a Montecarlo 2026, è il torneo che ho vinto, e si gioca vicino a dove sono nato e cresciuto. Ma non era possibile… Oggi sono qui per vedere Djokovic-Cobolli, e alla fine della partita lascerò la scena per sempre. Ho lottato contro tanti infortuni negli ultimi anni, non è stato facile, e questa è la migliore decisione possibile».

Ora tocca a Fabio fare i conti con il futuro. Ha un’agenzia che si occupa di seguire i giovani tennisti lungo la carriera. Flavio Cobolli è uno di loro. «L’ultimo messaggio che lascio è questo: chiunque abbia bisogno di me, nel tennis, può chiamarmi, anche solo per fare due chiacchiere». E lui risponderà: «Pronto, sono Fab Io»…

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