Correre ai ripari

Ho visto sfilare tutti e ventinove i numeri uno dell’Era Open del tennis, qualcheduno anche della precedente, e nessuno di loro mi ha mai incoraggiato a descriverlo come “fenomeno di umiltà”, e nemmeno come “fuoriclasse di normalità”, o “primatista di umanità”. Non dico che non lo siano, o che nei filamenti di acido nucleico che compongono il loro dna da campioni, si siano ormai perdute le tracce del loro essere umani, ma gli accostamenti che i grandi campioni suggeriscono, risultano sempre discosti dalla percezione che essi appartengano a una indistinta umanità che per puro caso dirotti qualcuno a fare il postino e qualcun altro a splendere tra le stelle dello sport. Tant’è che la formula della ritrovata umanità viene applicata quasi esclusivamente a spiegazione delle sconfitte più imprevedibili. Come quella di Sinner ad Halle, riscoperto umano in molti commenti e nella stragrande maggioranza dei titoli sulla debacle erbivora. Posso solo immaginare le perplessità che abbiano colto il nostro numero uno alla lettura mattutina della rassegna stampa.
Ora, la sconfitta è arrivata, e non appare grave per uno come Sinner. Ma non è normale. E va curata in fretta. Perché è figlia del dissesto causato dai cinque set della finale di Parigi, della quale ha rinnovato le angosce dei momenti più accidentati. Su tutti, quello dei tre match point falliti, che andrà spurgato il prima possibile dai pensieri di Sinner. La lezione che viene dalla prova di Bublik è che di fronte al caos organizzato provocato da uno che colpisce a tutta garra,  senza pensarci e senza seguire un tracciato logico, ma insista in quel tennis spropositato e un po’ folle evitando qualsiasi strategia con una successione di colpi anomali ed esasperati, violenti quanto imprendibili, Sinner si sia fatto trovare impreparato. Al punto che raramente l’ho visto così a disagio di fronte a quell’onda letale, sin da quando si è profilata all’orizzonte nelle prime battute del secondo set, per poi peggiorare nel suo stato d’animo già scosso durante la terza frazione, fra le peggiori mai fornite dal numero uno.
Badate, non è la prima volta che Sinner finisce nel tritatutto di chi procede sul filo del tennis più illogico che vi sia. Gli era successo già con Bublik, in quel secondo set del quarto di finale parigino, che aveva visto il kazako scuotere nelle fondamenta il tranquillo dominio che Sinner aveva imposto sin dalle prime battute del match. Ma la terra rossa, lo sapete, offre qualche preziosa frazione di secondo in più a chi sia chiamato a difendersi dalle forzature del tennis altrui. L’erba (quella di Halle in particolare, forse meno “battuta” che a Wimbledon) ha fatto invece da amplificatore alle mattane di Bublik, e Sinner non è stato in grado di cambiare gioco per frenare gli slanci del kazako. Sarebbe bastato rallentare, e imporre rimbalzi più alti? Chissà, ma Sinner non è stato in grado di provarci, forse nemmeno di valutare i pro e i contro.
Successe qualcosa del genere anche a Vienna, nella semifinale del 2021, opposto a Frances Tiafoe. E succede spesso nei match con Alcaraz, quando lo spagnolo esce dagli schemi producendo colpi che solo il suo talento rende possibili. Sono i momenti in cui Jannik non riesce a fare ricorso all’ordine delle cose, e tende a cadere in bambola. C’è una soluzione? Ovviamente c’è, una soluzione la si trova sempre, e non credo che sia così difficile rintracciarla per lui, che è uno studioso della materia tennistica, né per il suo team che lo ha sempre sostenuto in modo appropriato. Si tratta, probabilmente, di arricchire di nuovi capitoli il proprio manuale del tennis, alla voce “salvaguardia di se stesso”, cioè inserire nuovi tracciati di gioco quando gli avversari tendono a imporre, alla Bublik, il caos organizzato. In modo da avere risposte pronte per ogni risvolto delle partite.
Questo comporterà un po’ di tempo, e nel tennis non ce n’è mai troppo. Wimbledon incombe e Sinner fa sapere di sentire il bisogno «di una pausa che mi  rigeneri nella mente e nel fisico. Ho bisogno di un po’ di tempo per questo e penso che un break mi farà bene. Mentalmente mi sento okay, ma fisicamente sono un po’ stanco». E questo è il lascito degli stupidi tre mesi di stop cui si è dovuto sottoporre. Da Roma ad Halle ha giocato 15 partite, e sono stati come quindici esami. Wimbledon gliene proporrà di nuovi, e forse arriva un po’ troppo presto. Ma la fine dell’anno proporrà ancora il miglior Sinner, su questo non ho dubbi.

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