Simona Halep non è stata fin qui la sola giocatrice a esprimersi sul caso di doping che ha visto coinvolta Iga Swiatek, positiva lo scorso 12 agosto a una quantità talmente bassa di trimetazidina da far sospettare subito gli stessi della ITIA (International Tennis Integrity Association) di aver di fronte un caso di contaminazione, ma la rumena è colei che ha avuto la reazione più forte.
Molte delle opinioni fin qui, da Denis Shapovalov a Marius Copil, hanno avuto i toni più disparati e (se vogliamo essere onesti) poveri di costrutto perché denotavano scarsa conoscenza del contesto: per qualcuno un mese di sospensione è nulla, per qualcun altro l’averla fatta giocare in attesa di giudizio è una barzelletta. Già un po’ più comprensibili chi, come Eva Lys o Marketa Vondrousova, ha posto l’accento sulla diversità di trattamento che un top player può ricevere nella possibilità di accedere a ricerche e analisi approfondite per andare a fondo nel problema e avere dati sufficienti da inviare all’agenzia e ottenere come in questo caso o in quello di Jannik Sinner una sospensione della pausa forzata. Swiatek, che tra l’altro si è scoperto anche grazie a una lunga ricostruzione dei fatti sul sito sport.pl inizialmente non avesse proprio idea di cosa fosse stato ritrovato di irregolare nel suo corpo, ha avuto in questo senso la fortuna di affidarsi anzitutto a un laboratorio di ricerca per analizzare alcuni campioni di quanto assunse nei giorni appena antecedenti il controllo del 12 agosto ed è così che ha scoperto che la colpa fu della fiala di LEK-AM Melatonia 1mg in cui il trimetazidina non è presente nel bugiardino. Una volta ottenuto tutto, Iga è riuscita a inviare la documentazione alla ITIA e nel giro di qualche giorno il laboratorio di Salt Lake City affiliato alla WADA e al tempo stesso un team di esperti sempre legati all’agenzia mondiale dell’antidoping confermarono la circostanza, con la ITIA che a quel punto accettò che la polacca potesse tornare a giocare in attesa del verdetto.
Swiatek è stata fortunata in questo senso, perché se per qualche ragione non avesse saputo trovare l’origine del problema avrebbe potuto andare incontro a una sorte ben peggiore non riuscendo a dimostrare come la sostanza sia entrata nel suo corpo. Per mostrarsi poi collaborativa, è riuscita anche a ottenere un test del capello in una clinica specializzata a Parigi (dove i costi possono tranquillamente andare sulle quattro cifre) e dimostrare da parte sua che al di là di quel test è sempre stata pulita, con oltre 50 esami fatti in tre anni. Tutto ciò, inevitabilmente, è stato possibile grazie alle possibilità anche economiche che magari non tutti possono avere. E non è colpa di nessuno, Iga stessa ha fatto i salti mortali per ottenere quello di cui aveva bisogno, come accettare di sottoporsi a tre ore di interrogatorio con gli ufficiali anti-doping il giovedì alla vigilia del match tra la sua Polonia e la Spagna in Billie Jean King Cup.
Il sistema anti-doping è perfezionabile? Sì. Il sistema anti-doping sta andando nella giusta direzione? Sì, i casi stessi di Swiatek e Sinner lo dimostrano. C’è però il contrappasso della gran confusione che si crea, perché per paradosso siamo portati a fare di tutta l’erba un fascio. E qui entra lo sfogo di Halep, che da parte sua ha ancora tantissima rabbia in corpo per quanto abbia dovuto cercare di salvare la carriera a causa di un integratore in cui aveva sciolto una polvere contenente del Roxadustat e venne scoperto dopo la partita persa al primo turno dello US Open 2022. La rumena su Instagram si lascia andare cominciando con: “Sono seduta e cerco di capire, ma mi è davvero impossibile capire una cosa del genere. Mi alzo e mi chiedo perché c’è una tale differenza di giudizio? Non trovo e non credo ci possa essere una logica risposta. Non può che essere una cattiva volontà della ITIA, l’organizzazione che ha fatto assolutamente di tutto per distruggermi nonostante le prove”.
Una discreta bomba contro l’associazione antidoping nel tennis a cui viene additato un diverso trattamento per un caso che lei giudica simile: “Come è possibile che in casi identici avvenuti all’incirca nello stesso periodo la ITIA abbia approcci completamente diversi a mio danno”. In mezzo, tante frasi dove racconta l’angoscia e la rabbia che l’hanno accompagnata giorno e notte per quasi due anni in cui ha dovuto impegnarsi per uscire da un caso davvero spinoso. E che, purtroppo, ha ben poco di simile con quello di Swiatek. Perché le differenze sostanziali sono almeno tre: Halep, al contrario di Swiatek, è risultata positiva dopo un match e non al di fuori delle competizioni, fattore che ha subito fatto scattare un’aggravante nei suoi confronti sulla possibilità di barare; il caso-Halep è a livello giuridico uno dei più intricati, motivo per cui la ITIA ha atteso parecchio tempo a pronunciarsi; la concentrazione di Roxadustat, farmaco che è costato la squalifica alla rumena, era 10 volte superiore (nelle controanalisi) a quello rilevato nella polacca, tanto che nella prima sentenza il tribunale della ITIA poneva seri dubbi che Simona avesse ingerito quella quantità solo da una fonte. Swiatek, in questo senso, ha avuto una concentrazione sui 50 picogrammi per millilitro (pg/ml) inferiore anche a quella di Sinner, 86 pg/ml, mentre Halep nelle controanalisi risultava con 529 pg/ml.
La vicenda di Simona è umanamente tosta, perché ha basato una carriera sull’immagine di atleta pulita anche nei confronti dei tantissimi bambini rumeni che grazie a lei hanno approcciato lo sport. In questo ci possono essere similitudini con Iga, che a sua volta sentiva molto il ruolo di simbolo per tanti in Polonia, rappresentando entrambe gli esempi più vincenti a livello nazionale. Però Halep è andata incontro a una vicenda che è parsa complicarsi ogni giorno di più, mentre Swiatek una volta scoperto (con anche un po’ di fortuna) l’origine del problema ha potuto creare una tesi difensiva di sostanziale innocenza. Simona ha ricevuto una seconda accusa grave con delle anomalie nel passaporto biologico per delle analisi del sangue, che davano valori giudicati sballati da un team di esperti, tenutosi appena dopo un intervento al naso che aveva rimandato da quasi 10 anni. Il timing per lei è stato brutale e con le motivazioni fornite che non convincevano ha visto la storia diventare sempre più oscura, tanto che l’accusa inizialmente chiedeva sei anni di stop poi ridotti a quattro in primo grado con riconosciuta la volontarietà di barare. Appellatasi al CAS, il tribunale di Losanna ha decretato che il test del sangue contestato dalla ITIA non fosse valido, e quindi cadeva l’accusa del passaporto biologico mentre, anche grazie all’ex coach Patrick Mouratoglou che ha assunto la colpa per aver procurato tramite un membro del team da lui voluto l’integratore poi risultatole fatale ritenendo di non aver controllato gli ingredienti, ha limato anche le responsabilità sulla volontarietà dell’ex numero 1 del mondo. Da quella sentenza ne uscì moralmente vincitrice, perché aveva salvato la faccia e la carriera, ma il tribunale le comminò comunque nove mesi di squalifica che la fecero ulteriormente arrabbiare visto come nel frattempo eravamo giunti a marzo 2024: 18 mesi dopo il test effettuato a New York. Nove in più della fine della sua squalifica. Il lungo tempo in cui è rimasta ferma, lo si è visto bene quest anno, l’ha portata a essere completamente vulnerabile da un punto di vista fisico quando già stava avendo qualche problema di troppo prima della sospensione e che ora si ritrova con acciacchi e stop continui che non le danno modo di ripartire. Swiatek di fatto ha avuto come (enorme, per la sua immagine) colpa quella di aver ingerito una fiala risultata contaminata. Nel bugiardino di LEK-AM Melatonina 1mg non viene citata la trimetazidina, ma l’azienda stessa si è esposta con un comunicato dicendosi profondamente addolorata per l’inconveniente e ammettendo che per quanto ci siano controlli serrati su ogni passaggio esiste comunque una piccola percentuale che delle “tracce di impurità” possano essere presenti in misure davvero minime e comunque non risultare nocive per la salute delle persone. La stessa quantità infinitesimale che anche fosse stata come casistica in una fiala su (esempio) tre milioni prodotte è finita per creare un caso di doping a uno dei più famosi e vincenti atleti polacchi di quest epoca.
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