Alla fine, una pubblicità delle tante che lo vedono protagonista (dieci, venti, ma quante sono?) ti torna in mente, mentre lo osservi giocare, tanto più alle tre di notte, quando fantasie e fantasmi giocano a rimpiattino. In quella Sinner si trasforma in un essere tennistico con dieci braccia che sparano drittoni a tutto andare. Un cefalopode della famiglia Octopodidae. In pratica, un polpo. Di quelli che mutano livrea quando cambiano i colori del paesaggio che li ospita, che sanno nascondersi in un antro dieci volte più piccolo, ma se ti afferrano non c’è modo di sottrarsi alla loro stretta soffocante. Complimenti a chi l’ha pensato, quello spot, Sinner è davvero uno che quando i display intorno al campo diventano a pois, potrebbe diventare a pois egli stesso, se solo volesse…
Un camaleonte, avevo appena finito di descriverlo dopo il successo su Tommy Paul, un transformer che sa essere se stesso, ormai, in mille modi diversi. Lo preferite come polpo, Octopus Sinner? Va bene lo stesso, il problema non è tanto quello che penso io, o pensate voi, ma ciò che riteneva possibile Daniil Medvedev, avversario in un quarto che valeva una finale, e forse di più vista l’anticipata uscita di scena degli altri pezzi da novanta, tutti stressati dai Giochi Olimpici. Alcaraz, Djokovic, Zverev… Cinque cerchi alla testa.
Ho i miei dubbi in proposito. Sono convinto che il russo non si aspettasse un Sinner di nuovo in crescita, dopo averlo battuto a Wimbledon, tanto meno un Sinner che abbia avuto modo, in un così ristretto lasso di tempo, di affinare ancor più quella cangiante capacità di modificare le impostazioni del proprio tennis sugli impulsi che vengono da un avversario che ha fatto delle variabili il suo credo tennistico. C’è una frase dello stesso Jannik che in qualche modo avvalora il concetto. In sintesi, «l’importante, con Medvedev, è fargli capire che non ci sta capendo più nulla». Così, Sinner gli è sfilato via in contropiede già nel primo set, che DM, come a Wimbledon, aveva destinato a fare la voce grossa, tempestando di colpi la navicella dell’incauto italiano. Mal gliene incolse… Piantato sulla linea di fondo, dal quale si è mosso solo per promuovere alcune tra le più sapide discese a rete che gli abbia mai visto estrarre dal proprio arsenale, Jannik ha replicato alzando la sua voce di parecchi decibel rispetto a quella di Medvedev.
Ma la vera impresa, quella che ha fatto capire all’orso russo di essere di nuovo finito dietro a Sinner, ben lontano da quella parità certificata dalla vittoria sull’erba dei Championships (che ha interrotto una serie di cinque successi firmata da Jannik), è giunta a inizio del terzo set, quando l’italiano ha di nuovo innalzato il gran pavese del proprio tennis, volando altissimo, là dove Medvedev non può arrivare. Parlo di impresa perché l’annessione del secondo set, nella quale Medvedev ha impegnato molte delle residue energie, sembrava concedere al russo il vantaggio di chi ha appena rimesso in piedi una partita nata zoppa. In realtà, è stato Sinner in quel momento ad ampliare da capo il vortice degli scambi, a sfruttare il naturale bisogno di Medvedev di rifiatare e a impossessarsi del campo per tracciare linee sempre più acuminate, spesso concluse da perentorie discese a rete. Ventotto su trentatre a fine match, mentre Medvedev si è attestato su valori decisamente inferiori: 16 discese a rete a segno sulle 24 tentate. Il dato sta al centro di una pagella che vale la promozione: Sinner ha percentuali migliori sui servizi vinti (76% con la prima battuta, 61% con la seconda), sulle palle break (5 su 15, contro 2 su 8), su vincenti ed errori non forzati (31/38 contro 30/57) e sui punti totali messi a segno, dove il vantaggio sul russo assume valori quando mai consistenti, 115 a 91. Il segno di una prova convincente, che ha permesso a Sinner di disporre anche del quarto set, forse il più combattuto, risolto da un break giunto al momento giusto, sul 3 pari, con Jannik svelto a salire 0-40 e chiudere alla terza palla break, dopo averne concesse due a Medvedev nel gioco precedente.
È il primo italiano, JS, a firmare il poker di semifinali nei tornei del Grand Slam. Prima di lui vi si era avvicinato Berrettini, tre semifinali e un quarto al Roland Garros. Anche Panatta firmò tre semifinali, ma tutte a Parigi. L’ultimo anno, dalla fine degli US Open 2023 a oggi, conta 80 match, 73 vittorie e appena 7 sconfitte. Cinque di queste portano la data del 2024. In classifica oggi Jannik è a quota 9980, a un soffio dai 10 mila punti che erano la dotazione dei Fab Three durante i loro rispettivi domini. Zverev è ormai distante 2905 punti, Alcaraz 3290, Djokovic (nono nella Race, e senza una vittoria Slam) è a 4420, Medvedev, fallito il sorpasso al Djoker, resta a 4505 punti dall’italiano. Per non vedere JS in testa alla classifica di fine anno (primo italiano a riuscirvi, ovviamente) dovrebbero prendere corpo ipotesi devastanti come scosse telluriche.
Ma c’è da occuparsi di una semifinale, contro Jack Draper, mancino inglese, cresciuto a dismisura negli ultimi tempi. Grandi servizi e colpi rapidi e potenti. Buon amico di Sinner e saltuariamente suo compagno di doppio. «È un ragazzo con il quale mi trovo bene, di grande educazione e anche molto divertente. Rappresenta un mito per molti di noi, che hanno la sua età. Quando eravamo fra gli juniores, e giocavamo in doppio, tiravamo su di lui perché ci sembrava il meno attrezzato. Oggi domina il tennis, con grande merito». L’unico precedente è del 2021, al Queen’s, dunque lontano e sull’erba, ma a vincerlo (76 76) è stato Draper. Guardati dagli amici, Jannik… Il consiglio vale una finale.
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