La parola del Direttore

La rivoluzione educata di Jannik Sinner

C’è tutto il nuovo Sinner, in questa terza vittoria del 2024, tanto straordinaria per il valore dell’impresa quanto terribile per gli avversari, che ormai gli cadono ai piedi. C’è l’avvenuta trasformazione di un giovane talento che aveva due grandi colpi da fondo campo con poco altro intorno, in un tennista adulto che ha arricchito il proprio bagaglio di esperienza e di sapienza tecnica e tattica, e ora sa come affrontare e risolvere qualsiasi situazione possa presentarsi nel corso di un match, anche le più disagiate. C’è il carattere irriducibile di un ragazzo che due anni fa, da poco ventenne, ha voluto essere guida e capitano della propria azienda, e la sta conducendo a vele spiegate. C’è la gentilezza che gli viene riconosciuta da tutti, anche dai colleghi che molto gradirebbero sentirsi liberamente incazzati con lui, ma non possono perché Jannik è diventato il simbolo di un nuovo modo di essere star, un modo educato, positivo, quasi candido. C’è anche tanto buon tennis, giocato su ritmi sconosciuti ai più e inarrivabili anche per molti dei più forti, un modo di affrontare i match che quasi incute timore nella concorrenza, soggiogandola nella convinzione che, contro Sinner, si vada in campo solo per perdere.

Continuo a sostenere che Jannik porti in sé, forse inconsapevolmente (ma su questo comincio a non esserne troppo sicuro) molte doti del “rivoluzionario”, sebbene il suo campo d’azione resti quello tennistico e imponga di apporre delle virgolette (come ho fatto) a una definizione talmente carica di significati. Lo è stato quando ha preteso per sé la guida del proprio futuro, abbandonando l’accogliente dimora dei primi anni, il Piatti Center a Bordighera. L’ha ribadito quando si è rivolto ai propri appassionati, e ai molti pari età che ne seguono le gesta, evidenziando come alla base del proprio progetto vi siano sacrifici, abnegazione e tanto, tanto studio. Tre concetti che non vanno così di moda in questi anni. E continua a esserlo iscrivendosi tra le star più conosciute e seguite dello sport di oggi,  senza far ricorso a ricette strampalate, a esagerazioni, e nemmeno a forzature. Ma semplicemente continuando a essere se stesso, il ragazzo che con gentilezza si fa dare l’ombrello dalla ball girl (è successo a Indian Wells), le dice di sedersi accanto a lui, e la intrattiene scambiandoci quattro chiacchiere in attesa che la pioggia passi. Il ragazzo che gioca con il figlio di Nadal. Che aspetta sotto la pioggia il proprio avversario, l’amico Vavassori, in modo da uscire dal campo insieme con lui. O che gioca con il campione del tennis in carrozzina, anche lui sedendo su una di esse, per poi scoprire che «quelli davvero forti sono loro, non io».

Dopo Medvedev, travolto dallo tsunami delle giocate di Sinner, anche Dimitrov, in finale, si è presto convinto che vi fosse assai poco da fare. Ha cercato soluzioni dando fondo al proprio tennis ricco di variabili tattiche, ma credo che abbia avuto la stessa sensazione che ho raccolto io e la gran parte degli spettatori. Al primo break di Sinner, giunto al quarto game dopo che il bulgaro aveva avuto l’occasione di strappare il servizio al nostro, il match è sembrato chiuso, definito, schiacciante nel risultato che poi si è palesato. Dal 3-1 in poi c’è stato solo Sinner. Dimitrov ha continuato a provarci fino alla metà del secondo set, quando – indietro di un nuovo break – ha desistito, chiudendo lì la questione. Gli ultimi game si sono svolti con il bulgaro che sembrava cooperare con Sinner per una rapida e indolore conclusione.

In tutto questo, il numero due finalmente raggiunto, sembra quasi un orpello. Invece è importante, perché pone un paletto ed evita a Sinner di ascoltare nuovi raffronti con il passato poco generosi nei suoi confronti. È il primo italiano che vi riesca, in Era pre-Open e anche in Era Open. L’unico… Ma ha ragione Jannik nel ripetere che per quanto il risultato lo renda felice, il numero due non cambia la sostanza delle cose. Lui lavora per essere, giorno per giorno, migliore di se stesso: questo lo diverte e questo è l’obiettivo che insegue nella sua vita da tennista. Il resto conta meno.

Da ottobre a oggi sono trascorsi sei mesi, che hanno visto Sinner vincere a Pechino, Vienna, in Coppa Davis, poi a Melbourne, a Rotterdam e a Miami. Era a sette titoli, ora è a tredici. Ha disputato 45 match ne ha vinti 42. Ha ottenuto 13 successi sui Top Ten, tre sul numero uno, uno sul numero 2 e cinque sul numero 3. Otto le vittorie sui Top 20, sette sui Top 50. En passant ha vinto due derby italiani, contro Sonego e poi con Vavassori. Nel 2024 ha perso solo contro Alcaraz, che ieri in occasione del sorpasso gli ha inviato un messaggio con gli emoticon di un applauso, una fiamma e la scritta Top. Sulla terra rossa, nelle prossime settimane, Sinner ha un solo risultato da porre in salvo, la semifinale dell’anno scorso a Montecarlo. Negli altri tornei può guadagnare punti decisivi anche per la scalata al numero uno, tanto più se Djokovic non riuscirà a confermarsi vincitore a Parigi. La conquista del numero uno potrebbe essere più vicina di quanto si pensi.

Resta la sfida con Alcaraz, che l’ha battuto in semifinale a Indian Wells. È meno continuo, lo spagnolo, forse in questo momento anche meno ispirato di Sinner, ma ha due anni in meno, e ha già messo da parte due vittorie nello Slam e cinque nei Masters 1000, con 36 settimane trascorse da numero uno. In attesa di Djokovic, se riuscirà a ritrovarsi, o se la strada del pensionamento è ormai imboccata, la sfida tra Sinner e Alcaraz si pone al centro del tennis. Ma è Sinner stavolta a essere inseguito.

Daniele Azzolini

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